Le ambizioni azzurre di Erdogan

/ 14.09.2020
di Peter Schiesser

Un conflitto latente da decenni ai confini dell’Europa torna ad infiammarsi. Grecia e Turchia si confrontano militarmente nel Mare Egeo e nel Mediterraneo orientale, la prima sostenuta dalla Francia. Un conflitto che è territoriale, ma anche economico (10 anni fa sono stati scoperti giacimenti di gas naturale in quell’area) ed infine – visto da Ankara – geopolitico.

La situazione è precipitata dopo che la Turchia ha concluso un accordo con il governo nazionale libico sullo sfruttamento dell’area marittima fra i due paesi, estendendo di fatto la propria Zona economica esclusiva fino a comprendere le acque di Creta e di Rodi. Atene non poteva accettare questo atto unilaterale e contrario al diritto marittimo ed ha quindi concluso un accordo con l’Egitto per lo sfruttamento di un’area che, guarda caso, entra in collisione con quella turco-libica (attorno a Creta e Rodi). A seguito di ciò, la Turchia ha spedito navi militari e una nave trivellatrice dapprima vicino all’isoletta greca di Kastellorizo, a due chilometri dalle proprie coste, e poi fra Creta e Cipro, mentre la Grecia ha inviato seicento militari a Kastellorizo, contravvenendo di fatto all’accordo di Parigi del 1947, in cui l’Italia cedette le isole del Dodecaneso alla Grecia con la clausola che non venissero militarizzate. Di più: il primo ministro ellenico Mitsotakis ha annunciato di voler estendere da 6 a 12 miglia nautiche il limite delle acque territoriali greche, ciò che per Ankara sarebbe un motivo per entrare in guerra.

Per ora non è successo nulla, ma la tensione resta alta e mette in allerta sia l’Unione Europea sia la NATO, di cui entrambi i paesi sono membri. La Germania si è proposta di fare da mediatore, Mitsotakis ha risposto che da Berlino vuole appoggio, se voleva un mediatore si rivolgeva alla Svizzera. Di fatto l’UE al momento si muove in ordine sparso, con Francia, Cipro e Italia che sostengono la Grecia, mentre gli altri paesi membri stanno a guardare. Al vertice dei capi Stato e di governo del 24 settembre l’UE affronterà il tema, mentre il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg lancia un appello alla calma. Ma al momento NATO e UE appaiono impotenti.

Non sarà facile disinnescare il conflitto, poiché la Turchia non ha alcuna intenzione di rimettersi ad un arbitrato internazionale, siccome il diritto marittimo non è dalla sua parte. A guidare Ankara c’è una dottrina che si è affermata negli ultimi anni sotto il presidente Erdogan, elaborata dall’ammiraglio Cem Gürdeniz una quindicina di anni fa: si chiama Mavi Vatan (Patria azzurra) e prevede che la Turchia si prenda gli spazi che le spettano di diritto in quanto potenza regionale, neo-ottomana. Erdogan ha dichiarato a fine agosto che la Turchia farà così nel Mar Egeo, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Una dichiarazione in linea con le sue ambizioni da neo-sultano.

Ambizioni che non si limitano ai mari: Ankara sta da anni estendendo la sua influenza in diversi paesi di antica influenza ottomana, sfruttando il vuoto geopolitico che si è venuto a creare con il ripiegamento degli Stati Uniti e con l’affermarsi del multipolarismo. È presente da anni in Somalia, in posizione strategica riguardo i flussi di merci mondiali e a due passi da Gibuti, dove Stati Uniti, Cina e Giappone creano basi navali militari; ha legami strettissimi con l’Azerbaigian (si considerano un popolo solo in due Stati); interviene a suo piacimento in Siria e in Iraq contro i curdi; in Afghanistan ha sostenuto le forze governative ma ha buoni rapporti con il Pakistan, attraverso il quale si ingrazia i cinesi. NATO e UE intendono restare a guardare e subire le mosse sempre più aggressive di Erdogan?