Se non fosse per Rossella non saprei dell’esistenza dei crowd worker. Ci incontriamo in centro a Lugano per un caffè, mi dice «Sai ho fatto un’esperienza! Queste piattaforme digitali davvero ti risolvono un sacco di problemi». Un po’ perplessa, Rossella non è una navigata web surfer, non ha nemmeno un profilo social, le chiedo a quali piattaforme si riferisce e mi dice «Mila, non mi dire che non la conosci?». Mi viene in mente la marca di yoghurt ma non glielo dico, lei prosegue entusiasta «È una piattaforma sulla quale sono finita per risolvere un problema che avevo con la connessione internet di casa». Non vado oltre, il cameriere fa volare in terra lo zucchero, parliamo di altro ma appena arrivo a casa cerco di saperne di più. Mila è una piattaforma collaborativa che mette in contatto tra di loro persone con elevate competenze tecniche e persone in cerca di risoluzione di problemi. Chi fa parte dei crowd worker di Mila viene definito Friend se è un privato, Pro se è un imprenditore. Per accedere basta registrarsi sulla piattaforma e scegliere il pacchetto di servizi adatto alle proprie esigenze. Mila trova un fornitore di servizi in zona per concordare un appuntamento e risolvere i tuoi problemi.
La start up svizzera ha avuto così tanto successo che la Swisscom ne ha acquisito la maggioranza e ora insieme gestiscono «Swisscom friends», la piattaforma che aiuta Rossella e altri clienti Swisscom a risolvere le problematiche tecniche oppure offre la possibilità di collaborare proponendosi come Swisscom friend. E proprio il discorso del crowdworking è quello che più mi interessa. Secondo la Banca Mondiale entro il 2020 il crowdworking raggiungerà un fatturato pari a 25 miliardi di dollari. Le piattaforme digitali attive su scala globale sono 2300, tra le più famose Amazon Mechanical Turk, una sorta di piazza virtuale creata da Amazon per risolvere le problematiche dei clienti del sito di e-commerce. Solo nel 2012 ha assunto oltre mezzo milione di crowd worker in oltre 100 paesi, il 70% donne.
In un’intervista su «Morning Future» il giuslavorista italiano Ciro Cafiero si dice convinto che «siamo alla vigilia di una vera e propria rivoluzione dei modelli occupazionali». La parola chiave del crowdworking è disintermediazione dei tempi e degli spazi: chi si aggiudica l’incarico può trovarsi in qualsiasi parte del mondo rispetto al committente e, rispettando la consegna finale, svolgere il lavoro nei tempi che ritiene opportuni. La disintermediazione vale anche per l’organizzazione del lavoro: non c’è un contratto di assunzione e di fatto non esistono rapporti di colleganza.
C’è uno studio online condotto a livello europeo dall’Università di Hert-fordshire e Ipsos MORI, in collaborazione con la Foundation for European Progressive Studies (FEPS), che conferma l’avanzata del crowdworking tra le nuove formule di lavoro contemporanee e globali. Persino in Svizzera dove, secondo lo studio cofinanziato da syndicom e dalla fondazione sovis, il 32% degli intervistati (tra i 16 e i 70 anni) ha già cercato un crowdwork, il 10% esegue il crowdwork almeno una volta a settimana, il 26,1% afferma che il guadagno dal crowdwork rappresenta almeno la metà del reddito complessivo e il 12,5% dice che è la sua unica fonte di reddito. I crowd worker cercano vari tipi di lavoro che vanno dal clickwork a lavori altamente qualificati, lavori creativi, servizi legali, contabilità, IT, redazione e creazione di testi. Ad usufruire delle piattaforme collaborative sono anche le grandi aziende che riducono i costi fissi e gli obblighi sociali. «Solo l’11,9% di tutti i crowd worker si definisce in un rapporto mandatario, mentre le piattaforme digitali presuppongono e sfruttano condizioni lavorative del genere per eludere i contributi assicurativi, la previdenza vecchiaia o la perdita di guadagno in caso di malattia» (fonte syndicom).
Se volete diventare dei crowd worker e volete sapere quali piattaforme operano nel modo migliore, hanno una buona reputazione e sono puntuali nei pagamenti fate un giro su fair-crowd.work.