La paura di un’escalation della guerra in Ucraina, la dichiarazione di Putin di aver messo in stato di allerta l’arsenale nucleare e l’attacco alla centrale di Zaporizhzhia sono tutti eventi che hanno riportato in Occidente la paura di un conflitto nucleare. Ed è probabilmente dalla crisi di Cuba che non si respirava un clima così teso a livello mondiale. Per la prima volta, dalla fine della guerra fredda, le persone si stanno confrontando con una delle minacce più angoscianti e terribili. Anche le giovani generazioni si trovano a far fronte, dopo la pandemia, a un nuovo problema globale. Questo spiega anche il numero alto di serie televisive che raccontano un mondo distopico, un mondo di sopravvivenza successivo a un’immane catastrofe: un conflitto nucleare su larga scala rappresenterebbe la fine completa della civiltà e l’assenza di una continuità verso il futuro.
Si ricomincia a parlare di paura della «bomba atomica» un argomento su cui in passato esiste una ricca bibliografia, a partire da Elsa Morante: il saggio Pro o contro la bomba atomica risale a un ciclo di conferenze che Morante tenne nel 1965, edite da Adelphi nel 1987 con una prefazione a cura di Cesare Garboli.
Partiamo dall’incipit: «Allora non c’è dubbio che il fatto più importante che oggi accade, e che nessuno può ignorare, è questo: noi, abitanti delle nazioni civili nel Secolo Ventesimo, viviamo nell’èra atomica. E veramente, nessuno lo ignora: tanto che l’aggettivo atomico viene ripetuto in ogni occasione, perfino nelle barzellette e sui rotocalchi. Ma, riguardo al significato pieno e sostanziale dell’aggettivo, la gente, come succede, se ne difende, per lo più, con una (del resto, perdonabile) rimozione. E anche quei pochi che riconoscono l’effettiva minaccia che esso significa, e se ne angosciano (e per questo, magari, vengono considerati dagli altri dei nevrotici, se non dei matti) anche quei pochi, però si preoccupano piuttosto delle conseguenze del fenomeno, che non delle sue origini, diciamo biografiche, e dei suoi riposti motivi».
Il punto nevralgico, ieri come oggi, è la coscienza. È necessario interrogarla di continuo, è necessario che la seduzione immaginativa non sia sopraffatta da quella scientifica, considerando inevitabile il concetto di «disgregazione». Alla forza distruttiva della bomba la scrittrice oppone la potenza creatrice dell’arte e quindi si vanta, con una consapevolezza tenace, di appartenere alla categoria degli «scrittori». Fa una netta distinzione tra scrittori e scriventi, rivendicando la categoria dei primi come degli unici che davvero si occupino della realtà.
Gli scrittori, ribadisce Morante, sono gli unici che possono impedire la disintegrazione della coscienza umana. Nella confusione frammentaria, sempre più alienata del presente, la scrittrice sostiene che è compito degli intellettuali e degli artisti restituire l’integrità del reale attraverso «quell’integrità unica e segreta di tutte le cose», che è rappresentata dall’arte.
Curiosamente, anche Alberto Moravia si è occupato di «bomba atomica». Su invito della Japan Foundation nell’ottobre 1982 Moravia compie con Dacia Maraini un viaggio in Giappone. La visita a Hiroshima, dove peraltro era già stato, lascia su di lui una traccia profonda. La lapide dei martiri della bomba, che reca la scritta «Riposate in pace perché non ripeteremo l’errore», gli fa prendere coscienza del nesso, fino ad allora ignorato, tra la propria opera letteraria e «la tentazione del suicidio della specie». La questione nucleare diventa così l’epicentro del suo impegno politico e civile degli ultimi anni. Scrive contro la guerra e contro la bomba atomica in una serie di interviste, articoli e inchieste, apparsi, tra il novembre 1982 e il dicembre 1985, sui maggiori quotidiani e settimanali italiani. Scritti raccolti nel volume postumo, curato da Renzo Paris, L’inverno nucleare (1986): «Sono uno scrittore e mi è sembrato naturale servirmi della scrittura per combattere una guerra di liberazione dalla guerra».
In articolo apparso sul «Corriere della sera» del 6 ottobre 1985, Moravia paragona il morbo atomico all’Aids: «la divisione fondamentale del mondo attuale non è tra nord e sud o tra ovest e est, o anche tra capitalismo e socialismo bensì tra élites nucleari e popolazioni ignoranti». In altre parole, «alla distruzione dell’umanità provocata dal virus dell’Aids corrisponderebbe la distruzione del senso del reale provocata dalla malattia mentale nucleare. E alla fine ci sarebbe in ambedue le malattie, lo stesso genere di conclusione mortale».
Moravia considerava il problema nucleare una questione di carattere metafisico perché comporta l’idea di convivenza con il suicidio dell’umanità. Per questo c’è un solo modo per frenare la «disgregazione»: considerare l’atomica come un tabù, al pari dell’incesto. Purtroppo, non era e non è un tabù.