L’aspetto: prerogativa femminile?

/ 17.10.2016
di Luciana Caglio

All’indomani dell’elezione di Theresa May a premier del Regno Unito, i media si sono affrettati a rivelare, attraverso foto e commenti a iosa, la sua predilezione per le scarpe leopardate. Tanto che, grazie a questa pubblicità d’alto bordo, l’accessorio ha ottenuto un inatteso rilancio commerciale. Basta guardare le vetrine delle nostre calzolerie. In tempi di apatia ideologica, l’episodio non deve sorprendere, anzi. Per assicurarsi popolarità i politici sono sempre più disposti a concedersi alla curiosità del pubblico rendendo noti gusti e abitudini della loro quotidianità, simile a quella dei propri elettori.

Qui, però, è d’obbligo una distinzione cosiddetta di genere, del resto evidente. In pratica, il fattore estetico, collegato all’aspetto fisico, interviene a senso unico: rappresenta un metro di valutazione applicato soltanto nei confronti delle donne. Come, appunto, è successo del caso della signora May che, attraverso le scarpe maculate, con tacchi a spillo o piatti a ballerina, doveva attirare l’attenzione sul suo fisico e indurre, persino, a una riflessione di tipo morale e culturale: quella passione modaiola potrebbe essere un indizio di frivolezza, vizio notoriamente femminile. La neo presidente britannica, comunque, non è sola. A quel giudizio, basato sull’esteriorità, dove sono in gioco abbigliamento, pettinatura, trucco e persino chili di troppo, si trovano inevitabilmente esposte le signore, d’ogni età e stazza, che rivestono una carica politica o svolgono un ruolo di rilievo sociale.

Addirittura simbolica, in proposito, la figura di Angela Merkel. La più importante e discussa premier europea è diventata il bersaglio di scontate ironie, per via delle sue giacche, dal taglio teutonico e dai colori a volte improbabili. Mentre, la sua linea, non proprio esile, le è valso l’epiteto di «culona», comparso più volte sul «Giornale» di Milano. Volgarità e antifemminismo sono spesso tutt’uno. Frecce spuntate, certo, ma indicative. Se non hanno scalfito una Merkel, impegnata in ben altre contese, confermano tuttavia lo status quo. Da questo punto di vista, si assiste a uno sconcertante paradosso: le donne siedono, numerose, nei parlamenti e ne assumono la presidenza, ma continuano a subire un apprezzamento che fa capo all’apparenza. Altro che parità. Proprio qui vale sempre la citatissima battuta di Rousseau: «La donna è fatta specialmente per piacere all’uomo». Parole strane da parte di un filosofo rivoluzionario, ma risalgono a più di due secoli fa.

Frattanto, e ci mancherebbe, nei confronti di una discriminazione, che punisce le donne e assolve gli uomini (le loro pance non fanno notizia) si è sviluppata una crescente consapevolezza. Che, a sua volta, si espone al rischio dei fanatismi che, spesso, accompagnano una buona causa. Ci si sta, infatti, muovendo sul terreno scivoloso di un moralismo che porta al ridicolo. Ne ha fatto le spese, lo scorso anno, Barack Obama. Durante un banchetto, in onore di Kamala Harris, neoeletta ministra della giustizia in California, si era concesso la libertà di un complimento: «Lei non è soltanto impegnata e tenace ma anche di gran lunga la più bella attorney general d’America». Un’esternazione banale che, fino a pochi decenni fa, apparteneva agli usi e costumi normali, ma adesso non più: ha assunto, invece, connotati offensivi. Sembra ispirata al vecchio luogo comune «bella sinonimo di oca», per cui l’aspetto piacevole abbinato all’intelligenza vivace sembra un’eccezione. Sta di fatto che, per placare la polemica, Obama si è visto costretto a chiedere scusa alla ministra. E chissà, poi, se, nel suo intimo, lei si era sentita offesa.

Qualche dubbio si giustifica. Certo la galanteria è finita, già dal profilo linguistico, fra i ferri vecchi inservibili. Con ciò, condannando in blocco qualsiasi apprezzamento sull’aspetto femminile, si corre il pericolo di fare un processo alle intenzioni. E, addirittura, d’intervenire nell’ambito della libertà di parola. Si è aperto, in proposito, sui giornali d’oltre Gottardo, un dibattito, nato, appunto, da commenti «galanti» sul conto della nostra Doris Leuthard: da considerare leciti o illeciti, offensivi o lusinghieri? Staremo a vedere.