Con una votazione avvenuta nel giugno del 2019, il Consiglio degli Stati ha introdotto una quota indicativa del 30%, per i due sessi, nei consigli di amministrazione delle grandi aziende svizzere. Si tratta di un compromesso tra i due rami del parlamento che ha chiuso la lunga discussione sulle quote femminili nei consigli di amministrazione. Naturalmente la quota concerne soprattutto le donne che, per il momento, con il 21%, sono sottorappresentate. Vedremo ora come nella pratica delle assemblee generali si darà seguito a queste raccomandazioni. Intanto, naturalmente, le discussioni continuano. Ricordiamo che l’introduzione di una quota per le donne nei consigli di amministrazione e nei livelli di direzione delle aziende viene auspicata da molti anni invocando il principio dell’eguaglianza dei sessi che, in Svizzera, è addirittura iscritto nella Costituzione federale. Il fatto che nella grande maggioranza dei consigli di amministrazione (per non parlare delle direzioni) delle nostre aziende le donne siano ancora rare viene oggi considerato come una discriminazione che deve cessare.
A mio avviso nessuno si era finora domandato quale potrebbe essere l’influenza della presenza più numerosa delle donne nei consigli di amministrazione sui risultati economici e finanziari delle aziende. Ora anche questo aspetto è stato studiato. Di recente, infatti, la «Neue Zürcher Zeitung» ha dato notizia di una tesi di dottorato, presentata all’università di San Gallo nel 2016 da Christian Rioult, nella quale viene valutato il possibile influsso della quota femminile nei consigli di amministrazione sui risultati aziendali. Attingendo alle informazioni provenienti da numerose ricerche empiriche, realizzate nel corso degli ultimi anni, l’autore di questa tesi dimostra che i risultati delle aziende nelle quali la quota di donne nelle sfere direttive è elevata sono migliori di quelli delle aziende guidate quasi esclusivamente da uomini. A conferma di questa tesi, il giornale zurighese ha pubblicato anche un grafico della sezione di ricerche del Credito svizzero che illustra l’evoluzione delle prestazioni delle aziende, nel corso del periodo 2010-2019, a seconda del livello della quota di donne negli organi di direzione, distinguendo tra quattro soglie: 15%, 25%, 33% 50%. Dall’evoluzione delle curve di questo grafico si constata che, anche su un periodo di tempo relativamente corto, l’influenza della quota femminile è significativa. In effetti, maggiore è la quota di donne negli organi direttivi e migliore è stata la prestazione aziendale durante il periodo di tempo analizzato. Stando all’articolo della NZZ, che le questioni di gender non siano senza effetto sulle prestazioni economico-finanziarie delle aziende lo si deduce anche dal fatto che stanno nascendo sempre più fondi di investimento che concentrano le loro operazioni sulle aziende con quote femminili elevate nei consessi direttivi e nei consigli di amministrazione. Il messaggio che si deriva da queste informazioni è che per tutte le aziende sarebbe vantaggioso aumentare la presenza femminile negli organi direttivi.
Largo alle donne, quindi? Non vi è dubbio alcuno che il rispetto del principio di uguaglianza imponga di aumentare gli effettivi femminili nei consigli di amministrazione e nelle direzioni delle nostre aziende. Che questa misura, come dimostrano le informazioni riportate in questo articolo, sia poi tale da migliorare i risultati aziendali resta naturalmente da dimostrare. Comunque, da osservatori obiettivi di quanto sta succedendo nel microcosmo delle nostre aziende, prendiamo volentieri nota degli esempi che dimostrano che sembra esistere una correlazione positiva tra percentuale di donne con responsabilità direttive e livello elevato dei risultati aziendali. Penso che se, in generale, fosse così nessun azionista avrebbe qualcosa da ridire.