Chi abbia camminato nelle solitudini della campagna inglese – diciamo dal Kent al Norfolk e le Midlands (la celebre Terra di mezzo di Tolkien, per intenderci) avrà portato con sé il ricordo di uno dei paesaggi più romantici di questa parte del globo. Piccoli villaggi che fanno dell’Inghilterra rurale una sorta di capsula del tempo, distese di pascoli sempre verdi qua e là frequentati da pecore e cavalli: poche, pochissime persone. Ai confini del villaggio la chiesa parrocchiale in quello stile fra l’anglosassone e il gotico ripetuto centinaia di volte e mai noioso.
Attorno alla chiesa l’antico cimitero dove l’unica traccia di presenza umana è data dall’erba sempre rasata di fresco. Poi, lungo il viale che porta alle sepolture, le scure piante di tasso secolari fanno come da firma all’idillio rurale – tipiche come sono, se non proprio esclusive, di quella parte del mondo. Ma sono in pochi a sapere che la romanticissima pianta cela in sé, in realtà, uno degli strumenti di morte più micidiali della storia. Non mi riferisco qui ai velenosissimi noccioli delle bacche di Taxus baccata, ma al cuore della pianta dal quale veniva un tempo ricavato il micidiale longbow, l’«arco lungo» originario della Scozia e del Galles, l’arma che ha segnato alcune delle vittorie militari più clamorose dei sovrani isolani.
Siamo nel 1415. Enrico V d’Inghilterra decide di rompere i negoziati coi francesi riguardo alla sovranità su vaste parti della Francia settentrionale – ivi inclusa l’Aquitania. Ricevuto l’assenso del Gran Consiglio, Enrico sbarca in Francia il 15 agosto e mette sotto assedio il porto di Harfleur con un’armata forte di 12’000 (alcune fonti dicono 20’000) cavalli trasportati – si dice ma forse si esagera un po’ – da 1500 imbarcazioni. Fattostà che la Harfleur è dura a morire e capitola solo il 22 settembre. L’esercito di Enrico ha subito pesanti perdite a causa di febbri e dissenteria. Sfiduciati e sofferenti, l’8 di ottobre 9000 soldati guidati dal re si portano verso Calais, al tempo roccaforte inglese in continente, con l’intenzione di tornarsene a casa: la stagione delle campagne militari sta per lasciare spazio all’inverno e giungono notizie che i Francesi stiano ammassando un’armata formidabile. Per due settimane gli eserciti inglese e francese giocano al gatto col topo su e giù lungo le rive del fiume Somme: i francesi cercano di tagliare la strada verso Nord al nemico, sperando così di spezzare ulteriormente il morale degli inglesi costretti a marciare per 420 chilometri in due settimane.
Enrico si rende conto che tergiversare ulteriormente non farebbe altro che aggravare la condizione del suo esercito. Tentare il guado della Somme coi francesi schierati sulla sponda Nord sarebbe folle. Non resta che accettare battaglia in campo aperto. La battaglia ebbe luogo in una striscia di campo aperto presso il villaggio di Azincourt. Dopo una notte passata in totale silenzio e la tradizionale confessione generale delle truppe, Enrico schiera i suoi 1500 cavalieri in tre battaglioni dei quali lui stesso comanda quello centrale, situato al centro fra l’avanguardia del Duca di York e la retroguardia di Lord Camoys. Ma l’arma segreta di Enrico sono i settemila arcieri armati di longbow. Lasciatone un gruppo al centro dello schieramento, il grosso dell’esercito inglese si dispone sulle due ali ben davanti ai cavalieri. Come di consueto, gli arcieri piantano a terra pali di legno acuminati in posizione inclinata, barriera insormontabile per i cavalli nemici. I francesi osservano tutti questi preparativi con una certa sufficienza. Le fonti francesi sostengono che vi fossero dieci cavalieri nobili francesi contro ogni cavaliere inglese. Nessuna menzione degli arcieri – truppe appiedate di contadini incapaci di combattere di spada e dunque forza trascurabile. Tanto sicuri sono della vittoria, che i nobili francesi litigano fra di loro per essere in prima linea ed assicurarsi così i prigionieri inglesi. Di un’armata stimata a 50’000 uomini in totale, i Francesi vanno alla carica coi soli 10’000 cavalieri della prima linea. Il sito della battaglia è così angusto che schierare anche i balestrieri rischierebbe di colpire la parte amica.
A questo primo, fondamentale errore se ne aggiunge un altro: il campo di battaglia è stato appena arato e le piogge lo hanno trasformato in un mare di fango. Non appena la cavalleria pesante ci si avventura al galoppo, si trova impantanata, coi cavalieri delle seconde e terze linee che vanno ad impaccarsi sui primi. È prima il caos poi il terrore: nugoli di frecce cominciano a piovere sui francesi. La forza propulsiva del longbow è tale che le frecce penetrano le armature ad un ritmo di 10-12 colpi al minuto per arciere di contro agli 1-2 verrettoni delle balestre francesi. È una strage: il fior fiore della nobiltà francese viene abbattuta. Al termine della battaglia gli inglesi conteranno 600 morti. I francesi fra i 7 e i 10’000 – oltre a 1500 prigionieri fra le fila dei nobili che verranno giustiziati.
La battaglia di Azincourt è stata descritta come «la prima battaglia democratica della storia»: un’esercito di contadini liberi al soldo del sovrano, armati con quella che è stata definita «la prima mitragliatrice della storia», ebbe la meglio su cavalieri arroganti che manco li avevano contati fra i combattenti. Wilhelm Tell docet? Chissà: avendolo saputo avrebbe magari barattato la sua balestra…