L’inverno, come per altri ragazzi quando tutto s’imbiancava, era la mia stagione preferita. La neve, un tempo, se ben ricordo quella decina di volte in cui cadde per bene, arrivava di solito durante la notte. C’era un gran silenzio, anche se davanti a casa passava un’automobile. Non avevamo gli sci allora. I pochi che li possedevano, non essendo stati ancora inventati gli attacchi di sicurezza, dopo le vacanze di Natale tornavano spesso, quasi dandosi il turno, chi con una gamba rotta e ingessata e se ne andavano e venivano con le stampelle, chi con un braccio rotto, chi con il volto sfregiato.
Conciati a quel modo destavano comunque un po’ di ammirazione, specie fra le ragazzine. Gli altri compagni, quelli che non possedevano sci, si divertivano con una slitta, di quelle di legno che, quand’era nuova e lucida, era un piacere vederla, con la magica scritta «Davos» nel mezzo: le si saltava sopra e con una breve spinta, lungo stradine fiancheggiate da muretti pericolosi, si andava a capofitto fin giù alla strada principale, dove un altro ragazzo segnalava di attendere, se passava qualche veicolo, o, addirittura bloccava il poco traffico alzando un braccio, come un vero poliziotto.
Oppure si andava a pattinare, dapprima nel quartiere di Loreto e poi al Laghetto di Muzzano, calzando scarponi a cui venivano applicate le lame dei pattini a suole che le continue operazioni di riattacco avevano reso sempre meno resistenti. Pure quelli furono inverni troppo miti, come quando nevicava pochissimo. Se i laghetti gelavano, dopo alcuni giorni ecco apparire un po’ ovunque cartelli che proibivano il pattinaggio. Una raccomandazione che a volte non veniva presa troppo sul serio e ci scappò pure qualche tragico annegamento. L’HC Lugano, nell’anno della sua fondazione (1941) non disputò il campionato, annullato per mancanza di ghiaccio. E così altre volte nei primi dieci anni in cui a Loreto giocarono una storica partita la nazionale del Canada (campione del mondo e successivamente anche olimpica) e il Milano rinforzato dagli stessi canadesi tutti dilettanti. Il ghiaccio non era ideale: molliccio, dissero gli attori di quella gara terminata in parità, dopo un «overtime»… a gentile richiesta del pubblico che s’era goduto lo spettacolo fino in fondo. Qualcosa di mai visto dalle nostre parti. Insomma, quando poteva, l’HC Lugano faceva di tutto per essere un pezzetto di Davos o Arosa e convincere gli sportivi ticinesi che non c’era solo il calcio, del resto in pausa invernale.
Ho ripensato con leggera nostalgia a quei tempi, seguendo alla tv le discese imperiali della nostra Lara Gut, diventata in un paio di stagioni la bionda condottiera dello sci svizzero, tanto femminile quanto maschile. La sua sciata veloce, senza timori, con un grande senso della gara e percorsi che dimostrano il suo coraggio e la bravura nelle prove di velocità, è stata da tutti ammirata, non solo dai nostri tifosi che hanno intrapreso la trasferta oltre oceano. Mi auguro tanto che Lara possa diventare un Federer della neve. Preceduta nel tempo da due ticinesi fra le sorprese allora dello sci elvetico, ossia Doris De Agostini e una giovanissima Michela Figini – campionessa olimpica a Sarajevo (’84), argento ai Giochi di Calgary (’88) con successivi titoli mondiali – Lara Gut ha tutto il tempo per togliersi molte altre soddisfazioni, sotto l’esperta guida del papà, Pauli. La stagione della vincitrice della Coppa del mondo si è iniziata nel migliore dei modi, con la vittoria nella primissima gara a Sölden, davanti all’americana Mikaela Shiffrin che sarà verosimilmente la sua più accesa avversaria. Lara ha raccolto vittorie e punti anche sulle nevi del Nordamerica dicendo però che non vede l’ora di tornare a battersi in Europa. L’inverno le appartiene, se anche un po’ di fortuna l’assisterà nelle discipline da lei preferite, il gigante e la discesa.
Lo sci femminile ticinese è dunque, ora, grazie a Lara, l’unico vero punto di riferimento rossocrociato. Gli auguri sono d’obbligo, anche da parte di chi storceva il naso per via di qualche suo atteggiamento non gradito. La forza di lottare anche nei momenti più difficili non ha mai abbandonato Lara. Ed è questo un merito che ha saputo conquistarsi sin da giovanissima. Forza Lara!