Lo storytelling contemporaneo, in particolare quello seriale, ci pone di fronte a una nuova tipologia di protagonista, non più simbolo dei valori ideali della società come usava un tempo, ma un individuo scontroso, politicamente scorretto e asociale (ma a suo modo fascinoso) che genericamente chiamiamo antieroe. Il concetto di antieroe non ha una definizione univoca. Con questo termine, infatti, si fa riferimento a qualsiasi personaggio narrativo le cui caratteristiche sono contrarie a quelle dell’eroe classico. L’antieroe è un dispositivo narrativo per rovesciare le convenzioni narrative al fine di creare storie più articolate capaci di restituire la complessità del reale, di esplorare temi cruciali per la sensibilità moderna. Gli antieroi sanno quanto sia difficile sopravvivere alle tempeste, ma sanno anche che senza queste tempeste non saprebbero vivere.
Nel libro Difficult Men. Behind the Scenes of a Creative Revolution: From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad, Brett Martin, nello spiegarci come gli antieroi delle serie tv riescano a suscitare la nostra empatia e ci permettano di calarci nei panni di chi si spinge oltre il lecito, scrive: «Si tratta di individui che, un tempo, la saggezza popolare avrebbe dissuaso gli spettatori dall’accogliere nei propri salotti: infelici, immorali, contorti e profondamente umani. Questi uomini di finzione mettevano in atto un complesso gioco di seduzione nei confronti degli spettatori, spingendoli a supportare, e persino ad amare, delinquenti che si macchiavano di ogni tipo di crimine, dall’adulterio alla poligamia (Mad Men e Big Love), dal vampirismo all’omicidio seriale (True Blood e Dexter). Ed è stato chiaro che gli spettatori erano disposti a lasciarsi sedurre da questi personaggi nell’istante in cui Tony Soprano, nella prima puntata della serie, è entrato in piscina vestito per dare da mangiare a una famigliola di anatre».
Con questi difficult men tutti abbiamo fatto i conti, non solo sul campo, ovvero nella realtà, ma anche al cinema e, più di recente, davanti al video. Penso a Tony Soprano, un boss mafioso, l’ultimo erede delle famiglie che spadroneggiano nel New Jersey. Tony è anche un caso clinico, un fragile depresso che ogni settimana deve incontrare una psicoterapeuta. L’impero del male si sta sfaldando, i padri storici rincoglioniscono in qualche casa di riposo, la polizia ha in mano elementi per incastrare la «famiglia», altre bande si fanno avanti.
Penso a Jimmy McNulty, alla polizia di Baltimora, all’ambiguità della giustizia. The Wire è Hill Street Blues all’ennesima potenza, con un’attenzione quasi spasmodica ai gerghi, ai particolari, alle psicologie, alle corruzioni, alla complessità dell’indagine: una vera anatomia del crimine.
Penso a Don Draper, un edonista votato non alla felicità ma alla ricerca del piacere, più per disprezzo che per cattiva coscienza: «l’universo è indifferente». Don, uno dei Mad Men, è uno strano gaudente governato da un’etica ferrea: il piacere va sudato, con costanza e strategia.
Penso a Walter White di Breaking Bad, al suo antieroismo tragico, all’ambiguità morale dell’universo in cui si muove, al quadro di un mondo al collasso emotivo ed economico. Penso a Dexter Morgan e ai brutti sogni che procura. Non per le scene splatter, non per i modi inusuali in cui vengono tagliuzzate le vittime ma per una ragione più profonda. Dexter ha il brutto vizio di farsi giustizia da solo, è uno psicopatico che vuol mettere ordine nel caos.
Penso a tanti altri difficult men. E penso che in tutte le narrazioni mitiche e religiose, il male è posto all’origine del cammino umano. Tornano le solite, inquietanti domande: dobbiamo chiedere alle serie, ai film, ai romanzi di esimersi dal raccontare la criminalità, nel timore che ciò dia origine a comportamenti emulativi? Una conoscenza che non tenga conto del male è una conoscenza in favore del male?
L’eroe classico, monolitico nella sua caratterizzazione positiva, si contrappone al cattivo (villain, antagonista), sua immagine speculare e distorta. Tra eroe e cattivo, diversi nelle caratteristiche, ma uguali nel loro essere fissi, si inserisce il personaggio antieroe, figura complessa che si muove in questo vasto spazio di possibilità narrative e rappresentative.
Gli antieroi sono dei rebus narrativi che invitano lo spettatore a risolvere il mistero della loro complicata identità. Vince Gilligan, il creatore di Breaking Bad, ha spiegato al «New York Magazine» le motivazioni alla base del successo degli antieroi seriali: «I gusti di visione sono ciclici. Fra cinque anni forse ci chiederemo “ti ricordi quando a tutti piacevano gli antieroi?”. Per molti decenni invece, i cattivi in tv dovevano sempre essere puniti, e i buoni dovevano essere coraggiosi, sinceri e senza conflitti interiori.
Queste erano le regole del gioco (e del mercato). Ma i gusti delle persone sono volubili e ora chi produce una serie può permettersi più sfaccettature rispetto a un tempo, perché il pubblico ormai è pronto a seguirti». L’antieroe è un eroe tragico per nulla preoccupato di perdersi, di avvilire la fatalità, di opporsi a una tragedia declassata. È un uomo dei nostri tempi.