Fece scalpore, suscitando risentimenti e indignazione, il titolo del saggio del sociologo francese Jean-Didier Urbain L’idiot du voyage, pubblicato nel 1991: tanto che l’autore si vide costretto a chiarire l’equivoco. Precisando che, se oggi, nel linguaggio comune, è sinomino di scemo, «idiotes» in greco antico definisce un ingenuo e, in latino, un tipo singolare. Divagazioni linguistiche a parte, Urbain intendeva lanciare un allarme nei confronti del turismo di massa che stava trasformando una conquista sociale, viaggi e vacanze accessibili a tutti, in un fenomeno di massa, che aveva crea-to un nuovo consumatore vittima. Qual è il turista manipolato da un’industria che produce servizi di bassa qualità: itinerari standard, soggiorni in resort pseudovillaggio, e niente contatti con la realtà autentica di un paese esotico. Ora, a questo turista umiliato, che spende male soldi e tempo libero, Urbain intendeva aprire gli occhi per promuoverlo a viaggiatore, vocabolo qualificante. Si riallaccia alla tradizione che, spettava ai rampolli della nobiltà inglese, ancora nel XIX secolo: era il «grand tour», itinerario sulle tracce delle antichità classiche. Mentre, a mobilitare i giovani tedeschi fu soprattutto l’archeologia: leggendaria la figura di Schliemann, che identificò i resti di Troia.
Ma con quale esito il discusso sociologo francese è riuscito a far passare il suo messaggio, modificando le scelte dei turisti promossi a viaggiatori attenti, in grado di penetrare negli «interstizi» delle città e dei paesaggi visitati? In effetti, qualcosa si è mosso. Urbain, del resto, ha trovato compagni di strada fra i colleghi, come Duccio Canestrini, autore di Andare a quel paese, vademecum del turista responsabile, sottinteso nei confronti dell’ambiente: siamo nel 2001 e l’ondata ecologista preme sulle coscienze e sulle abitudini. Va di moda la bicicletta, non soltanto a uso sportivo, ma mezzo di trasporto per affrontare distanze continentali. In Ticino, c’è un precursore: Werner Kropik, viennese d’origine e luganese d’adozione: nella primavera del 1994 si congeda da un gruppo di amici (ed ero fra quelli) riuniti in via Pessina, inforca la bicicletta, munita di un piccolo bagaglio. E parte per una passeggiata insolita: destinazione l’est Europa, la Turchia e l’Estremo Oriente. Attraverso lettere, scritte a mano, che ribatto a macchina per il «Corriere del Ticino», Werner ci fa partecipi di un’avventura straordinaria, raccontata senz’enfasi, com’era nel suo stile e com’è rimasto, lungo una carriera di viaggiatore autentico: che va oltre le apparenze del folclore per scovare valori umani, sofferenze, soprusi, speranze. Ne ha ricavato un materiale prezioso, consegnato a fotografie, diapositive, filmati: «Più di 15’000 pezzi che sono diventati materiale di studio e in pari tempo di lavoro». Kropick, già orafo estroso, è regista e commentatore di documentari apprezzati dal pubblico ticinese. Come spiega questo successo? «Conferma il bisogno di emozioni collegate proprio con l’altrove, luogo che racchiude le incognite della diversità. Per noi occidentali, si identifica con l’Oriente». Una passione culturale e affettiva diffusa, di cui si hanno spesso testimonianze letterarie. Recente quella di Marco Horat che in Amici (Edizioni Ulivo) racconta l’incontro di due anziani, uniti da un legame che intreccia amore per la natura e spiritualità orientale.
Questione d’età e questione di prudenza sanitaria, Werner ha rinunciato agli spostamenti lontani, su mezzi sovraffollati, per concentrarsi sull’ambiente quotidiano, in un Ticino da considerare territorio di scoperte, a volte persino macabre, in grado di rivelare analogie insospettate, con il Tibet per esempio. Ha imparato a muoversi nella «Wilderness», movimento scientifico che gestisce zone protette. Senza diventarne un adepto rigoroso, figurarsi. Tuttavia, il rischio di subire i condizionamenti del momento è sempre dietro l’angolo. Persino Urbain, in nome di un frainteso ambientalismo, propone la sua ricetta di vita: ha lasciato Parigi, si è comprato una villa-fattoria dando un addio ai viaggi, ormai fuori moda: «idioti» quelli che partono.
Con ciò, rimandando le partenze verso lidi lontani, il fascino dell’altrove resiste e anzi dà adito a derive. Infatti, dato che del mare noi svizzeri abbiamo un inguaribile nostalgia (è nel nostro DNA, come disse Parmelin), c’è chi ha pensato di ricrearlo, in formato casalingo. È nata così la Lugano Marittima, alla foce del Cassarate, che a quanto pare funziona, a parte eccessi notturni. Ma il progetto, accarezzato da Alessio Petralli, linguista in veste di urbanista, va ben oltre: il quai, ormai invecchiato, sarà sostituito da una distesa di sabbia dorata. Una Croisette nostrana, destinata ai cultori dei piaceri mediterranei, sole, brezza (da noi si chiama breva). Insomma, c’è tutto. Salvo l’altrove.