L’altro volto del bene

/ 13.11.2017
di Franco Zambelloni

Ogni settimana ormai – se non ogni giorno – mi aspetto di leggere la notizia di un nuovo attentato: la frequenza con la quale si ripetono simili atti di fanatica violenza mostra infatti la tendenza a crescere. E ormai non si tratta più soltanto di qualche integralista islamico che porta la jihad in giro per il mondo, secondo l’ordine del califfo al-Baghdadi: «Da Raqqa a Parigi, dalla Siria all’Europa: porteremo la guerra dove vive il nemico». E il nemico, s’intende, è chi crede nella fede rivale, i cristiani, che il califfo ha giurato di «non far più vivere in pace». Si direbbe che ci stia riuscendo.

Il primo giudizio che viene alla mente, in casi del genere, è che si tratti di gesti di una follia criminale: ma è un giudizio semplicistico. L’aggressività umana è ben documentata per tutto il corso della storia, ma è significativo che la maggior parte degli omicidi e degli atti di violenza sia stata compiuta in nome della giustizia. Sembra assurdo che per fare giustizia si voglia un tributo di sangue: ma uno studioso come Steven Pinker ha attestato, sulla base di una buona documentazione, che le cose stanno così. Se una persona si sente insultata, offesa; se vede rifiutato il suo Dio; se è tradita dal coniuge; se si ritiene comunque vittima di una ingiustizia, la rabbia che conseguentemente cresce dentro può esplodere in un atto di violenza. Così, si combatte per fare giustizia – beninteso, una giustizia valutata soggettivamente e che porta ad un gesto di vendetta. Credo che meccanismi del genere siano alla radice degli atti terroristici, anche non di matrice religiosa, che si fanno sempre più frequenti: il pazzo che spara da una finestra sui passanti, quello che lancia un furgoncino lungo una via falciando i pedoni, le bande giovanili dedite ai pestaggi e ai vandalismi, sfogano verosimilmente la loro frustrazione, un senso di fallimento, che intimamente leggono come l’ingiusta violenza della società nei loro confronti.

Ma la violenza religiosa è più interessante da decifrare. Anche in questo caso, non è certo l’estremismo islamico di oggi ad inaugurare il rapporto tra religione e violenza: come ha scritto Umberto Eco, «gli uomini non fanno mai il male così completamente ed entusiasticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa». E qui, mi pare, affiora l’aspetto più sconcertante della questione: quando si decretava lo sterminio degli Albigesi; quando i crociati buttavano dalle mura di Gerusalemme donne e bambini; quando si bruciavano eretici e streghe – in tutti questi casi si compiva il male in nome del bene.

Una delle letture più acute di questa paradossale contraddizione l’ho trovata in un libro di Tzvetan Todorov che ha per titolo L’altro volto del male. Il libro svolge un’analisi dei regimi totalitari e ne mette in luce la disumanità; ma – ed è qui il fascino della sua analisi – al tempo stesso ne indaga le relazioni con il bene e mette in evidenza che i tanti delitti, le infinite violenze commesse da quei regimi, traevano origine, in fondo, dalla volontà di bene che ispirava l’ideologia totalitaria. Hitler – per ricorrere all’esempio più ovvio – avvertiva se stesso e il suo popolo come vittime dell’ingiustizia perpetrata dal trattato di Versailles: per il fatto stesso di essere un vinto, si convinceva di avere diritto a un indennizzo da parte dei vincitori. E certamente aveva degli ideali, che applicava nella forma più crudele: la sua figura mostra con tutta evidenza tratti da psicopatico e da questa patologia derivava la disumanità delle sue scelte politiche; ma quelle scelte erano fondate su ideali della cui nobiltà il Führer era certo convinto – il trionfo del popolo germanico, la salvezza della razza ariana. La storia gli ha dato torto; se avesse vinto, forse oggi lo venereremmo come un santo.

Giustamente Todorov ammonisce che ogni visione manicheista della storia è falsa e ingannevole, e che il bene e il male non si danno mai nella forma pura, bensì convivono l’uno accanto all’altro – o forse l’uno dentro l’altro – anche se con prevalenze alternanti. Cosa che già Rousseau aveva detto chiaramente: «Il bene e il male colano dalla medesima sorgente».

Ma quante lacrime sono colate e colano da quest’unica sorgente! Sicché, portando all’estremo paradosso questa costante mescolanza di bene e di male e il loro continuo rovesciamento, mi verrebbe da pensare – come già altri hanno scritto – che forse il più grande benefattore dell’umanità sarebbe colui che trovasse il modo di annientarla definitivamente.