L’altro 11 settembre

/ 10.09.2018
di Cesare Poppi

Si disse allora e si è ripetuto fino a tempi recenti che gli attentati alle Torri Gemelle ed al Pentagono dell’11 settembre avrebbero cambiato per sempre la Storia del mondo. Forse è stato così, e comunque, dati i tempi lunghi della digeribilità della Storia e dunque del suo impatto sul metabolismo di quella che ci riguarda, è probabilmente ancora presto per dirlo. A meno che. A meno che non ci si metta di mezzo la memoria e, di quella, quell’ancora misterioso processo che ne seleziona poi la materia specifica che è l’oblio. Quanto e come ricordiamo, infatti, sono paradossalmente in funzione – anche e soprattutto – di quanto siamo disposti, od inconsciamente propensi/costretti, a dimenticare.

Gli eventi dell’11 settembre 1565 segnarono una svolta in quella che avrebbe potuto essere un cambiamento di rotta decisivo per la Storia del cosiddetto Occidente. La scena: l’ampia e complessa baia che circonda e protegge La Valletta, capitale di Malta. All’alba le truppe ottomane che hanno stretto d’assedio la città per tre mesi, tre settimane e tre giorni, senza peraltro riuscire a spezzarne la resistenza, abbandonano le posizioni, stanche e sfiduciate, e cominciano la ritirata verso la parte Nord dell’isola dove avevano lasciato le navi. La notizia dello sbarco nella baia di St. Paul di ottomila combattenti di rinforzo dalla Sicilia, al comando di Don Garcia de Toledo Osorio, Conte di Villafranca, aveva gettato in ulteriore sconforto gli ottomani, timorosi che fosse loro tagliata fuori la via della ritirata verso le navi. E così fu: quando un gruppo di cavalieri particolarmente inclini a menar le mani si scagliò sulle truppe in ritirata, il comandante Ascanio della Corgna non poté far altro che ordinare una carica generale. Fu ancora una strage: pochi ottomani riuscirono a guadagnare le navi e prendere il largo.

Alla Valletta si esultava per una vittoria che aveva di poco scongiurato la caduta dell’ultimo bastione strategico in mano cristiana, ciò che avrebbe non solo lasciato il Mediterraneo in mano al nemico ormai storico, ma avrebbe altresì aperto le porte all’invasione della Sicilia e alla conquista del Regno di Napoli. Protagonisti dell’impresa i Cavalieri di Malta, spina nel fianco dell’Islam in espansione fino dall’XI secolo, quando erano conosciuti come Ospitalieri in quanto assistevano i pellegrini cristiani a Gerusalemme. Il loro braccio armato era stato protagonista delle Crociate per poi, con la fine del Regno di Gerusalemme, riparare a Rodi col nuovo nome di Cavalieri di Rodi. Qui divennero marinai e corsari: spesso figli cadetti dell’aristocrazia europea che non avrebbero ereditato se non la gloria guadagnata in battaglia, i Cavalieri di Rodi divennero la bestia nera del commercio marittimo ottomano, poco propensi, come erano, a cercare quelle vie di compromesso che altri – i veneziani in testa – perseguivano a beneficio del commercio e degli schei di tutti.

Cacciati da Rodi caduta in mano agli ottomani nel 1522, nel 1530 i Cavalieri erano di nuovo in business quando Carlo V donò loro l’isola di Malta al prezzo annuale di un falcone da caccia. Ma gli ottomani ai Cavalieri l’avevano giurata: nel 1551 il corsaro Dragut, già protagonista a Rodi e bestia nera del traffico navale del Mediterraneo invase l’isola senza peraltro riuscire a conquistarla. Si rivolse allora alla più abbordabile vicina Gozo: seimila schiavi cristiani furono avviati ai mercati e solo centocinquanta rimasero nell’isola. Ma il Gran Maestro Juan de Homedes era certo che Dragut sarebbe tornato. In soli sei mesi fece rinforzare il Forte Sant’Angelo, sull’isola ora detta Vittoriosa, per poi costruire ex novo il Forte Sant’Elmo, all’ingresso della baia, ed il Forte San Michele a protezione del fronte di terra. Allo sbarco degli Ottomani il venerdì 18 maggio 1565, ai 35/40’000 soldati ottomani si opponevano 6100 fra Cavalieri e Miliziani maltesi. Epica fu la resistenza di Forte Sant’Elmo, forse chiave strategica dell’intera operazione.

Un Dragut esasperato dalla resistenza di quel pugno di difensori stanchi e affamati ordinò la messa in batteria di un gigantesco cannone – opera, pare, di un ingegnere ungherese «rinnegato»: sovraccaricato di polvere, o forse malgestito dagli artiglieri, il mostro esplose facendo strage. Fra i morti lo stesso Dragut. Senza quartiere: agli Ottomani che gettavano nella baia della Valletta i cadaveri dei prigionieri inchiodati alle croci rispondevano i cristiani sparando coi cannoni le teste decapitate dei giannizzeri catturati. Risultato: fra i 10 ed i 35’000 morti in campo ottomano di contro ai 2500 combattenti maltesi – con un supplemento di 7000 civili. Scriveva Voltaire, certo non un baciapile incline ad esaltare la cristianità: «Niente è meglio conosciuto dell’Assedio di Malta». E oggi? Chi ricorda ancora Il Grande Assedio? Sic transit.