Da sempre, non so perché, m’interessano le attrazioni desuete tipo orridi e panorami. Una di queste, a cui nessuno bada, è proprio di fronte al leone morente che attira sempre greggi di turisti. Il negozietto di souvenir e il bel bistrò omonimo nello stesso edificio, camuffano ancora di più la sua presenza. Eppure la scritta Alpineum, benché in parte sbiadita, campeggia sulla cupola della rotonda neoclassica.
I bambù nei vasi – di un verdino spigliato, abbinato alla pietra arenaria olivastra e malinconica simile a quella nel centro storico di Berna – danno subito un tono gradevole a tutto l’edificio. Disegnato, verso il 1885, da Othmar Schnyder (1849-1928) come museo del leone morente. Fallimentare il museo, lo compra il pittore paesaggista Ernst Hodel senior (1853-1902). Assieme al figlio, Ernst Hodel junior (1881-1955), pittore paesaggista pure lui, lo trasforma in un diorama delle Alpi inaugurato nel 1901. Sedie da bistrò parigino, leggiadre, in bambù, intonate alle piante, sono disseminate intorno e seduto su una di queste, sorseggio un ottimo espresso doppio. Tralasciando i souvenir ingombranti all’entrata, il colpo di scena, sopra la cassa, è uno stambecco imbalsamato. Fra stucchi, con lo sfondo affrescato di cime aguzze, tra rocce vere, vive lo stambecco dell’Alpineum (449 m) di Lucerna. Ingobbito, lo sguardo nei piedi, gareggia in tristezza con il più famoso leone. Crepacci e seracchi di un ghiacciaio del Monte Bianco, dipinti non senza abilità (credo dal Senior), illuminati nel buio teatrale, sono il primo scorcio dell’avventura fuori moda per pigroni. Un poggiabraccio che ricorda quelli dei palchetti all’opera, in similpelle color cognac, acuisce la teatralità. Due alpinisti d’epoca di una cordata di tre, guardano me, l’unico spettatore. Il mio occhio ora scruta dentro uno stereoscopio ottocentesco: magicamente trovo altri tre avventurieri alpini di quei tempi.
Il suono di grilli accompagna la vista dal Rigi: lago dei Quattro Cantoni, Bürgenstock, Pilatus e tutto il resto. Il faux terrain è composto da rocce, muschi, tronchi divelti, conifere rinsecchite. Ricorda un po’ l’ambientazione dei trenini Märklin. Del resto, casette in miniatura, modellini di treni, battelli a vapore, sono esposti in alcune vetrinette accanto ai primi due diorami dell’Alpineum ancora oggi a conduzione famigliare. È il pronipote del Senior e nipote del Junior, Daniel, a condurre l’Alpineum. Il nome, va detto, non è farina del loro sacco. Un Alpineum, creato da Maurice Andréossi (1866-1931) in rue du Vieux-Billard a Ginevra, è esistito tra il 1885 e il 1899, mostrando, oltre a tre diorami alpestri, i film dei fratelli Lumière ed è considerato il primo cinema svizzero. Jodel adesso, terza tappa: il mare di ghiaccio della Jungfrau visto attraverso lo squarcio ferroviario del tunnel dove passa il trenino. Lo jodel, per fortuna, s’intreccia a un charleston, come sottofondo ai colori (Hodel junior mi sa, l’autore di uno dei dipinti panoramici nella hall della stazione di Basilea) dell’alba sul culmine del Pilatus. Una staccionata e prati con rocce sono il faux terrain del quarto paesaggio.
Una musica da film proviene da dietro l’angolo, dove c’è il gran finale con tramonto dal Gornergrat. Un panorama circolare con Cervino eccetera, rocce a go go, marmotta impagliata. Colonne in legno, in scala reale, tipo baita, cercano di creare l’illusione perfetta. Due stereoscopi in legno di ciliegio mi distraggono. Uno è intitolato da Parigi al Monte Bianco, l’altro da Roma al Matterhorn. Muovendo una manopola d’ottone sul fianco, si passa da una fotografia tridimensionale all’altra. Incredibile questa profondità illusionistica d’altri tempi: mi sembra di cadere dentro questi paesaggi. E così, tra meravigliose betulle stereoscopiche e stagni con fanciulle in posa, palme sui lungomari chissàdove, parchi francesi, rovine ateniesi, viaggio altrove. Ci voleva, dopo tutta questa alpitudine.
La fuga massima, quando la musica strappalacrime di non so che film, jodel, corni delle alpi, charleston, grilli del Pilatus o del Rigi, mi mandano un po’ in tilt, è uno stereoscopio Holmes. Lo sguardo si rifugia nel vulcano La Grande Soufrière, sull’isola di Guadeloupe.