Tra i problemi che proiettano ombre tetre sul prossimo futuro ce n’è uno, in particolare, per il quale non vedo soluzioni: è l’aumento vertiginoso e costante dei costi per la salute. Puntualmente, a intervalli di tempo sempre più ravvicinati, vengono lanciati segnali d’allarme: di anno in anno i premi assicurativi aumentano almeno del 4%; il Cantone spende milioni per pagare i costi degli assicurati insolventi; entro il 2030 i premi delle casse malati raddoppieranno…
Da un lato, dunque, la protezione della salute è sempre più costosa; dall’altro, però, gli interventi sanitari sono sempre più richiesti. Sono le due facce della medaglia: come sempre, non si possono avere vantaggi senza pagarne lo scotto. Si considerino ad esempio le campagne di prevenzione: indubbiamente sono utili nella misura in cui permettono di evitare certe patologie o di intervenire per tempo prima che il male prevalga. D’altra parte, è ovvio che il rullo continuo dei tamburi d’allarme accresce nel pubblico l’ansia e il timore di ammalarsi: di conseguenza, la richiesta di analisi cliniche e di controlli sanitari non può che aumentare. Come ha scritto lo psichiatra Vittorino Andreoli, la tendenza a richiedere sempre nuovi accertamenti diviene «un vero e proprio imperativo a dedicarsi alla salute del corpo che può sconfinare nell’ossessione o degenerare al punto di indurre malattie legate alla paura di ammalarsi»: così l’intervento sanitario si alimenta da sé di continuo.
Nel suo capolavoro L’uomo senza qualità, Robert Musil faceva dire a uno dei suoi personaggi che se l’uomo moderno viene al mondo in una clinica e muore in una clinica, allora, di conseguenza, deve anche vivere in una clinica. Musil scriveva questo ironico commento sul mondo moderno negli anni Trenta del secolo scorso, quando ancora parti e decessi avvenivano per lo più in casa. Oggi, quando l’inizio e la fine della vita avvengono di regola in un ospedale, il suo commento suona ancora più realistico. Ed è dunque altrettanto realistico pensare che la tendenza alla medicalizzazione dell’esistenza non sia affatto destinata a retrocedere. La medicina fa progressi e funziona: l’aumento della speranza di vita ne è una prova evidente. E però ogni progresso clinico, farmacologico o chirurgico, comporta un aumento dei costi; e la fiducia che oggi accordiamo alla scienza (e che un tempo era affidata alla preghiera) fa sì che ci si aspetti sempre di più e dunque si chieda sempre di più.
Per chi si diletta a vagabondare nella storia passata, una delle letture più interessanti può senz’altro essere la storia della medicina. Ci sono antichi precetti medici – a parte le bizzarre farmacopee – che oggi fanno per lo meno sorridere: come la credenza, diffusa nel Medioevo, che il malato che si lava morirà entro tre giorni. Ma soprattutto quel che colpisce è la maldicenza nei confronti dei medici, che si può definire una costante per tutta la storia dell’Occidente. Secondo Platone la medicina serviva a cronicizzare le malattie, distogliendo il paziente dall’impegno pubblico e inducendolo a ripiegarsi sulla cura di sé. Nel Vangelo di Marco si parla di una donna, curata da medici per dodici anni con dolorosi trattamenti e con peggioramento costante. Montaigne s’inorgogliva d’essere vissuto sano per 47 anni senza ricorrere ai medici, e ricordava che i suoi antenati avevano in odio la medicina. Molière ridicolizzava due medici – Olezzo e Purgone – nel Malato immaginario. Rousseau fu forse il più spietato di tutti i critici scrivendo che «bisogna bilanciare il vantaggio di una guarigione operata dal medico con la morte di cento malati uccisi da lui». Le citazioni non finirebbero più; ancora recentemente il filosofo Paul Watzlawick menzionava il bon mot dei medici: operazione perfettamente riuscita, paziente deceduto.
Oggi, ovviamente, la medicina non merita più il discredito di cui ha goduto nei secoli andati: i medici fondano il loro lavoro su valide conoscenze. Oggi non sono i medici a dover incutere timore, bensì la folla sempre più numerosa degli aspiranti pazienti. Se la salute diventa un’ossessione largamente diffusa, i costi delle casse malati diventeranno insopportabili e una fascia sempre più vasta della popolazione dovrà farsi ricoverare, almeno per ricevere in ospedale un pasto decente. Ma, soprattutto, la qualità della vita ne sarà radicalmente compromessa: a furia di astensioni, prevenzioni, discipline corporee, molte persone si ridurranno a condurre una vita da malati per poter morire sani.