Sei pilastri, color salmone, della pergola di Villa Garbald, con il muro sottostante intonacato dello stesso colore ma più sbiadito-beige che costeggia la strada principale acciottolata, li scorgo dalla terrazza della pasticceria Salis gustando una torta di more. Costruita nel 1864 per Agostino Garbald (1828-1909), direttore doganale appassionato di apicoltura e meteorologia, e la moglie Johanna Garbald-Gredig in arte Silvia Andrea (1840-1935) – pseudonimo insipido che la penalizza un po’ visto che La Bregaglia (1901) è un Wanderbuch molto godibile – secondo i piani di Gottfried Semper (1803-1879). Famoso architetto tra le cui opere ci sono il Politecnico di Zurigo, il Burgtheater di Vienna, l’Opera di Dresda meglio nota persino come Semperoper.
Avvicinandomi sotto un temporale alle tre meno qualcosa di un sabato verso la fine di agosto, a poco a poco la pergola mediterranea s’impone. Le diverse piante nei vasi di terracotta, sul granito tra un pilastro e l’altro, e l’odore di uva matura che pende con cura dal pergolato, danno l’impressione che Villa Garbald (689 m) sia più viva che mai. Sepolto nel meraviglioso cimitero acattolico di Roma, ai piedi della piramide Cestia dove gironzolano colonie di gatti randagi accuditi come si deve, l’architetto di Amburgo, traendo spunto dagli schizzi nel suo taccuino di viaggio e ispirandosi anche forse molto dalla Gärtnerhaus (1829) di Schinkel nel parco Sanssouci a Potsdam, ha disegnato una casa rustica di campagna italiana di raffinata semplicità. Mai stato a Castasegna – grazioso villaggio della bassa Val Bregaglia al confine con l’Italia che contiene già nel toponimo l’antico castagneto incantato – Semper lascia un segno di qualcosa che non c’entra niente con il resto della valle senza però fare a pugni con niente. Vista la vicinanza con la dogana diventa una specie di preludio a un ipotetico viaggio fantasioso in Italia, tipo in Toscana, due secoli fa. Sulla soglia della casa con tetto spiovente dove l’ultimo dei Garbald – Andrea Garbald (1877-1958), fotografo – è vissuto fino alla morte, c’è Werner Ruinelli, una delle guide per la visita settimanale. Aspettando gli altri due iscritti al tour in italiano, mentre l’altro gruppo germanofono è riunito in salotto e piove che Dio la manda, noto un gattino di terracotta niente male. È di Margherita Garbald (1880-1956), sorella di Andrea e assistente nel suo studio fotografico.
La saga dei Garbald e la loro inconsueta casa, forse sarebbero caduti nell’oblìo – benché già nel 1955 una fondazione fosse stata creata da Andrea e Margherita – senza la scoperta in solaio, nel 1986, di molte tracce della loro straordinaria storia, per mano di Hans Danuser. Fotografo e artista di Coira classe 1953, capita qui per via della morosa – Brigitta – che in quegli anni vive a Villa Garbald. Finita, nel marzo 1999, sulla copertina della prestigiosa rivista «Du» attraverso la pergola in una fotografia di Andrea Garbald che ritrae l’anziana mamma Johanna, seduta all’ombra con Margherita e una domestica intente a tessere. Con la giovane coppia di milanesi engadinofili mai fermati in Bregaglia, incominciamo la visita dalla bellissima sala da pranzo, opera del duo di architetti basilesi già incontrati nelle nostre escursioni su al San Gottardo per via della favolosa ristrutturazione dell’Ospizio. Miller & Maranta, nel dicembre 2001, vincono il concorso, indetto dalla Fondazione Garbald diretta all’epoca da Hans Danuser, per il restauro e ampliamento di Villa Garbald più la costruzione di un centro seminari in giardino. Il Roccolo che andiamo a vedere adesso, uscendo dalla porta-finestra. A sorpresa è uscito il sole.
Dalle finestre asimmetriche delle stanze per gli studenti nel moderno roccolo di Miller & Maranta – ricoperto di un impasto di beton e ghiaia della Maira o Mera e il cui tetto riprende il segmento del tetto di una legnaia vicina – entra tutta la bellezza bregagliotta che muta ogni minuto grazie alla bruma che avvolge i boschi e li svela man mano. A sprazzi appare la roccia in alto, sempre con un taglio di luce diversa, i tetti in piode, la selva castanile più vasta d’Europa che sale verso Soglio. Ogni finestra è un quadro. La caccia al paesaggio è aperta. L’altro gruppo adesso ammira il Roccolo dall’ultimo piano di Villa Garbald. Il cui corrimano di legno accarezzo ora, salendo le scale di granito dove all’altezza di piedi e caviglie scorre un falso marmo astratto che ricorda il salame. Altre decorazioni sui soffitti, saltate fuori solo in occasione del restauro. A quanto pare, dicono gli esperti, non è opera di Semper, ma basta osservare uno strepitoso ramo di agrifoglio per discordare amatorialmente. Non credo che l’autore di Der Stil (1860) dove analizza con minuzia e grazia le decorazioni degli irochesi, la pacatezza di certi abbinamenti di colore, la simmetria delle foglie e l’euritmia dei rami, avrebbe lasciato qualcosa al caso. Le stanze con bagno per i professori non hanno niente da invidiare a uno storico hotel di lusso. L’ampio solaio aperto ai lati, dove è incominciata la rinascita di Villa Garbald e la sua vita attuale di centro seminari gestito dalla coppia belga Arnout & Siska, è, oltre la pergola, la gloria maggiore della casa. Oggi svolge la funzione di loggiato arioso e sereno. Mi siedo a un bel tavolo di legno e un pensiero va ad Augusto Garbald (1881-1931), il terzogenito morto – pare per problemi di alcol – in Brasile. I ricci, sui castagni, promettono bene.