La versione elvetica del Quarantotto

/ 10.04.2023
di Orazio Martinetti

Il Museo nazionale svizzero (Landesmuseum Zürich) festeggia con una mostra documentaria i 175 anni dello Stato federale, appoggiandosi alla sua carta fondamentale, la Costituzione promulgata il 12 settembre del 1848, «allo scopo di rassodare la lega dei Confederati, di mantenere ed accrescere l’Unità, la Forza e l’Onore della Nazione Svizzera». A quell’impresa aderirono i cittadini (maschi) dei 22 Cantoni sovrani, anche se dal Ticino giunse un secco rifiuto, giacché trasferiva alla Confederazione gli introiti doganali (art. 23). Il Paese si era appena lasciato alle spalle la guerra civile del Sonderbund, che se fosse sfuggita di mano con l’intervento di monarchie estere avrebbe portato alla dissoluzione della Lega. Questo, per fortuna dei costituenti, non avvenne perché un po’ ovunque – dalla Francia all’impero asburgico, dagli Stati tedeschi a quelli italiani – gli abitanti delle principali città insorsero per reclamare libertà, democrazia, ordinamenti repubblicani. Fu un vero «Quarantotto» che per alcuni mesi mise a ferro e fuoco l’intera Europa centrale.

L’epicentro della «primavera dei popoli» fu Parigi. Ieri come oggi, verrebbe da dire, considerando la sequela di manifestazioni e di scioperi che da mesi sta mettendo a soqquadro l’intera area metropolitana. Quel Quarantotto sulle barricate fu però ben peggiore, con migliaia di morti e feriti, «operai abbattuti come animali selvaggi». Anche l’insurrezione di Milano fu stroncata da Radetzky dopo cinque giorni di guerriglia urbana. Uno dei protagonisti, Carlo Cattaneo, decise di rifugiarsi prima a Lugano e poi a Parigi, dove redasse una prima versione della rivolta milanese, intitolandola L’insurrection de Milan en 1848. In quel medesimo anno due rivoluzionari tedeschi, Marx ed Engels, diedero alle stampe un loro Manifesto su incarico della Lega dei comunisti: e sappiamo quale fortuna avrebbe avuto, e non solo nel vecchio Continente, quell’esile opuscolo di sole ventitré pagine. Nei Cantoni confederati l’anno della rivoluzione assunse le sembianze di una rifondazione dei patti federali precedenti, con l’obiettivo di dare alla Confederazione un assetto giuridico moderno e coerente. Alla vecchia Dieta subentrò un Governo di 7 membri (il Consiglio federale), sorretto da un potere legislativo bicamerale (Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati). La nuova carta stabiliva diritti e doveri, come pure l’esigenza di meglio coordinare la difesa nazionale. L’art. 44 garantiva il libero esercizio di culto delle confessioni cristiane (cattoliche e riformate), mentre quello successivo, l’art. 45, assegnava lo stesso grado di libertà alla stampa (salvo un utilizzo abusivo della medesima). Il refrattario Ticino ottenne un posto nel Governo centrale, nella persona del leventinese Stefano Franscini, un politico-educatore che aveva acquisito una certa notorietà anche oltralpe sulla base delle sue indagini socio-statistiche (Statistik der Schweiz, 1929). In proposito, il massimo storico del «Bundesrat», Urs Altermatt, ha parlato di un «Mythos Franscini» tuttora evocato e celebrato non solo nel suo Cantone natale.

Quale indirizzo si volle dare alla Svizzera con la nuova Costituzione? I pareri degli storici divergono. Alcuni, ad esempio Cédric Humair, hanno esaltato il ruolo dell’élite liberale urbana, da tempo ostile ai vincoli politici e ai lacci amministrativi che ostacolavano la crescita del Paese, soprattutto nel campo dello sviluppo dell’industria e dei trasporti; altri – come Olivier Meuwly, che ha appena pubblicato da Alphil un breve profilo di storia costituzionale – contesta invece questa interpretazione fondata su una presunta egemonia dell’elemento borghese, determinata, a sua volta, dall’interesse economico. A suo giudizio saremmo qui in presenza di un approccio riduttivo che ignora i passaggi liberal-progressisti del documento, che all’epoca potevano anche togliere il sonno alle teste coronate. Insomma, non una semplice «carta», quella adottata nel 1848, ma un compendio della storia nazionale, del suo passato e delle successive tappe, culminate in due profonde revisioni: la prima nel 1874, la seconda nel 1999. Specchio dell’evoluzione politica, civile e giuridica del nostro Paese, ma anche motore e stimolo per riformulazioni e riforme. Nella successione degli articoli è possibile seguire il circospetto passo dello Stato federale, le innovazioni come le esitazioni, i frutti delle conquiste sociali come i ritardi e le lacune. Speriamo che le scuole raccolgano l’invito.