Premessa: La lettera del signor Edoardo si riferisce a un episodio narrato nel mio libro autobiografico Una bambina senza stella (Rizzoli)
Cara signora Vegetti Finzi,
le volevo solo dire che la sua frase «La vergogna, non la colpa, è un sentimento indelebile» già da sola, vale, per me, il prezzo del libro (modo di dire, perché il libro l’ho preso in prestito alla biblioteca).
Mi ha chiarito un quadro che avevo in testa, ma che non vedevo distintamente. La sua frase (e le successive, a pag. 212) era proprio quello che mi mancava per completare il puzzle. Mi chiarisce infatti certe affermazioni di scrittori che sono stati nei lager o che sono stati torturati (ad esempio nelle carceri algerine dai Francesi o dai loro alleati indigeni). Per quanto mi concerne, il sostantivo vergogna può essere sostituito anche dai suoi sinonimi: imbarazzo, disagio, sensazione di essere ridicoli, ecc.
Visto che la Stanza del dialogo tratta solitamente di problemi famigliari, aggiungo una situazione durante la quale mi sono sentito in imbarazzo e che talvolta mi tormenta ancora oggi, dopo più di un mese.
(Per proteggere la privacy, come mi è stato raccomandato, non riporto qui l’episodio limitandomi a specificare che riguarda un rimprovero della moglie circa la spesa di un franco che poteva essere evitata).
Ciò, continua il lettore, ha però avuto come conseguenza che talvolta ci ripensi e che alla prossima occasione i pensieri negativi che nel frattempo si accumulano, possano causare una risposta un po’ sopra le righe (tipo «non rompere i ... per un franchetto»).
Mi complimento ancora per il suo libro e pure per la sua rubrica.
Con i migliori saluti. / Edoardo
Pubblico questa lettera, molto personale, perché riguarda un sentimento poco considerato: la vergogna. Non penso a quella che si riferisce a grandi colpe, spesso rimossa e negata, quanto a quelle che deriva da un’ombra che cala sulla considerazione che abbiamo di noi.
Il signor Edoardo suggerisce sinonimi meno impegnativi quali imbarazzo, disagio, sensazione di essere ridicoli, stati d’animo che tutti abbiamo provato ma che divengono vergogna soltanto quando feriscono l’autostima, la considerazione che ciascuno ha di sé.
La vergogna, come racconto nel mio libro, può essere suscitata anche da complimenti sul nostro modo di essere e di fare che non rispondono alla realtà ma cercano, in modo maldestro, di compensare evidenti carenze.
Pensiamo a espressioni quali «sei elegantissima», quando indossiamo un abito inadeguato oppure «tutto sommato t’è andata bene» di fronte a una sconfitta.
Inoltre, come scrive il signor Edoardo, la vergogna può suscitare sentimenti di rivalsa, la voglia di far subire a chi ci ha ferito un’analoga sofferenza.
La differenza con altre reazioni, è che la vergogna acuta, quando s’insinua nell’animo, costituisce una macchia indelebile che nessun correttore riesce a cancellare.
Non a caso, in caso di gravi conflitti, la propaganda cerca, piuttosto che denunciare le colpe del nemico, di colpire la sua più profonda identità con ingiurie quali: «cane infedele», «bestia immonda».
Paradossalmente le vittime innocenti d’indicibili sofferenze, come quelle provocate dalle torture, quando le rievocano confessano di vergognarsi. Suppongo che uno stato d’animo così ingiusto derivi dalla sensazioni di essere usciti, in quei frangenti, dai confini dell’umanità, di essere precipitati nel baratro del nulla.
Eppure la consapevolezza che nella nostra biografia permangono sentimenti di vergogna anche per peccati veniali e piccole carenze può essere un motivo di saggezza. Innanzitutto perché rivela che la verità e la giustizia sono esigenze innate e che vi è in noi un tribunale morale che contrasta ogni indebita amnistia. Siamo fatti dei nostri meriti ma anche dei nostri demeriti, compresi quelli che non dipendono da noi ma dalle circostanze. Ammetterlo ci aiuta a comprendere gli altri e a perdonare, senza dimenticare, le sofferenze che possono averci inflitto. La fratellanza non è un sentimento innato. Basta osservare le tensioni che sorgono tra bambini piccoli quando giocano insieme, come si offendono facilmente, per comprendere che si tratta piuttosto di una conquista.
L’indulgenza nasce dalla conoscenza di sé, dalla consapevolezza che l’Io è composto di luci e di ombre e che soltanto riconoscendo il nostro chiaro-scuro potremo accettare quello degli altri.