Eccola, beccata subito con l’occhio allenato dalla ricerca quotidiana delle spugnole, camminando sul Kornhausbrücke, la scultura che avevo in mente. In lontananza, verso la fine della fuga prospettica dello stabilimento balneare Oberer Letten dove sapevo di lanciare lo sguardo per magari trovarla, al volo.
Lo stabilimento balneare, in mezzo al fiume, però è chiuso. Apre in maggio, ma non posso mica rinviare, devo raggiungerla adesso. Cosa volete che sia per un morchellaro scendere lungo la Limmat, infilarsi tra i rovi, arrampicarsi sul muro e saltar dentro? C’è anche un certo piacere del proibito, inatteso stamattina, avventurandomi così verso la Venere lavica della Limmat (407 m). E il lido fluviale ancora in letargo, in mezzo al quale, su un piedistallo di beton bocciardato con il riquadro bianco della didascalia svanita, è posata la Venus de Six-Fours (1952) di Hans Aeschbacher (1906-1980), mi riserva una sacralità ulteriore.
Ricorda molto le veneri preistoriche, dee madri della fertilità chiamate con il luogo del ritrovamento, come la Venere di Macomer, statuetta prenuragica di basalto. Six-Fours-les-Plages è una località in Provenza dove questo scultore zurighese misconosciuto – svantaggiato forse anche un po’, nel mondo ipocrita e modaiolo dell’arte contemporanea, dal nome da operaio metallurgico, la faccia da macellaio, il fisico da lotta svizzera – ha lavorato dal 1947 al 1960. La porosità della pietra lavica color carbone, trovata da Aeschbacher nei pressi del suo atelier, simile ai basalti colonnari ammirati lì vicino, alla Pointe Nègre, è magnifica. La superficie è tutta bucherellata e in alcune cavità maggiori si è alloggiato il muschio. Mi viene subito da appoggiare il palmo della mano, per trarne un po’ di energia tellurica. Faccio poi dietrofront per vederla come si deve questa scultura taille directe alta centosettantacinque centimetri che potrebbe quasi sembrare un masso erratico messo in piedi. Ricorda certe forme antropomorfe che ognuno legge a suo modo, di colpo, nelle rocce. Sembra quasi non esserci intervento dello scultore, come se fosse levigata dall’acqua. Ondeggiante, questa venere tutta per me, ora, alle dieci e diciotto di un mattino grigio a metà aprile, la vedo anche come una Madonna appena abbozzata, impercettibile. Prevale però l’indistinta forma primordiale di una dea della fertilità.
Prime foglioline verdine e timide in giro, un frassino in fiore, cinguettii a gogò, la Limmat scorre placida, tanti corrono sulla riva opposta, uno temerario fa il bagno, uno in muta surfa con un aggeggio attraverso un movimento oscillante che mette in moto il principio di Bernoulli: sembra volare levitando sull’acqua. Mi siedo sul bordo di legno dell’aiuola con la menta e il rosmarino in fiore.
«La Venus de Six-Fours (1952) è la versione sensuale più matura della vita nascosta nella pietra – un paradigma del non finito di michelangiolesca tensione» scrive il filosofo marxista tedesco Hans Heinz Holz nella sua monografia del 1976 su Hans Aeschbacher. Il cui nome e titolo dell’opera qui mancano. Eppure il contesto, per la sua venere lavica, è ideale. Le linee eleganti, senza fronzoli, del bagno pubblico realizzato nel 1952 su disegno di Elsa Burckhardt Blum (1900-1974) e suo marito Ernst Friedrich Burckhardt (1900-1958), esperto di architettura teatrale morto in un incidente autostradale mentre erano in vacanza nel Sussex, la accolgono come una piazza non potrebbe. Curioso come la Venere di Aeschbacher e i Bagni dei Burckhardt, la cui particolarità sono forse le scale che entrano scenografiche nel fiume, siano coetanei.
Al centro della terrazza-solarium, come su un palcoscenico, la venere mediterranea sembra essersi ambientata alla perfezione. Dalla costa azzurra alla Limmat non sembra per niente essere stato un trauma. Vicina al punto dove confluiscono Limmat e Sihl che ispirò un passaggio di Joyce in Finnegans Wake (1939) e i binari della stazione ferroviaria in disuso dove fino al 1995 c’era la «scena aperta» della droga che ha impresso al toponimo Letten un qualcosa di doloroso, attraverso questa divinità vulcanica o Madonna in bozzolo anch’io mi sento in sintonia con il luogo.
La accarezzo e mi viene in mente quello che mi diceva un mio amico antiquario a proposito di una stele in granito di Aeschbacher che ogni volta che va a Zurigo, abbraccia come un amico.