Dodici anni erano trascorsi da quando Hernando Pizarro aveva finalmente potuto godere dei dividendi che la sua fulminea carriera di Conquistador del più grande impero di quella che diventerà America. Figlio di poveri contadini si era come tanti proposto di giocare le sue carte al seguito delle campagne di conquista del Nuovo Mondo inaugurate dai viaggi di Colombo.
Acqua ne era passata sotto – e sopra – i ponti di un giovane eccellente destinato però ad avere una fama storica esattamente opposta a quella del più gettonato Alessandro il Macedone (conquista dell’Asia fino all’India, dinastia Tolemaica, Cleopatra e Cesare etc…). Meraviglie della fama di poi – o, se vogliamo, del politically correct che ha, come sappiamo, memoria molto breve e nessuna capacità critica storica: sta di fatto che il pugno di Macedoni ispirati da Alessandro passerà alla Storia come Eroe e quelli di Pizarro come Infami ubriaconi – ma questa è proprio un’altra storia.
Era dunque il 26 giugno 1461. Erano trascorsi più di trent’anni da quando, il 26 luglio 1429, Pizarro era stato eletto a Governatore del Perù al termine di complesse ed ancora controverse questioni politiche legate al fatto che la leadership di Pizarro, figlio di nessuno, avrebbe (o meno) dovuto/potuto essere preferita al pedigree di altri – fra i Conquistadores – armati con un pedigree aristocratico come prevedevano invece le logiche politiche di un regime feudale ormai in – ahimè – sempiterna (contemporanea?) crisi.
Fra questi vi era Diego Almagro, detto Il Mozzo: discendente di una piccola nobiltà che aveva visto nell’opportunità Americana un motivo di affrancamento dai residui impedimenti di scalata sociale delle residue velleità feudali – allora ormai tragicamente donchisciottesche per quanto celebrate (ancora: forza Spagna!) da Cervantes due secoli dopo. Aveva accompagnato suo padre nei viaggi che avrebbero consegnato alla corona spagnola un intero continente al prezzo di tre caravelle e 150 cavalli (ed avventurieri armati di dubbia affidabilità). All’idillio esaltato delle facili prime eclatanti vittorie di Pizarro era subentrata la frustrazione del «chi me lo ha fatto fare». Oro? Poco. Argento? Di sicuro, certo, non mai abbastanza.
Ad un certo punto le forze già esili di Pizarro si erano dovute dividere: Il Mozzo e suo padre avevano conquistato Cuzco e qui preso prigioniero l’ultimo imperatore Inka Atahualpa. Almagro padre e figlio avevano richiesto oro – molto oro, per consegnare Atahualpa a Pizarro, il Governatore. Altrimenti lo avrebbero messo a morte. Prendere o lasciare.
In risposta Pizarro aveva messo in chiaro di non aver nessuna intenzione di mettere a morte Atahualpa, che considerava comunque legittimo sovrano, così come, fra gli altri reggenti, il Re di Inghilterra Carlo I (preoccupato forse per quella che sarà la propria testa finita sul patibolo). Atahualpa finì garrotato – forse il più crudele, se possibile, dei sistemi di messa a morte mai escogitati – precipitando così una crisi istituzionale che – sostengono alcuni studiosi della storia moderna del Perù – inquina ancor oggi i rapporti fra indigeni e discendenti dei colonizzatori.
La cronaca: a Lima, il 26 giugno 1541 «un gruppo di 20 sostenitori armati fino ai denti di Diego de Almagro II “el mozo” prese d’assalto il palazzo di Pizarro, assassinandolo e costringendo poi il terrorizzato consiglio comunale a nominare il giovane Almagro II come nuovo governatore del Perù. La maggior parte degli ospiti di Pizarro fuggirono, ma alcuni combatterono contro gli intrusi, numerati variamente tra sette e 25. Mentre Pizarro lottava per allacciarsi la corazza, i suoi difensori, incluso il suo fratellastro Martín de Alcántara, furono uccisi».
Il Mozzo ebbe la sua vendetta. E così perse il futuro dell’Eldorado.
Sic transit.