Un castello neogotico mai esistito, in cima a un promontorio boschivo, si trova sullo sfondo di un quadro dipinto da Giovanni Giacometti nel 1899 per immortalare, al centro del paesaggio, abbastanza straordinario da queste parti, il Maloja Palace. Inaugurato il primo luglio 1884, in un alpeggio della Bregaglia affacciato sull’Engadina che avrebbe dovuto rivaleggiare con la nascente St. Moritz, il più grande hotel svizzero dell’epoca – titanico, a tre ali in stile neorinascimentale, fronte lago – è un’idea del conte belga Camille de Renesse (1836-1904). In bancarotta quattro mesi dopo l’apertura. L’Hôtel Kursaal de la Maloja, ribattezzato in seguito Maloja Palace, disponeva, oltre a una fonte d’acqua curativa cercata a tutti i costi, di golf, tennis, tiro al piccione. A sue spese anche due chiese.
Un castello medievaleggiante mai terminato, in mezzo al bosco a precipizio sulla Bregaglia, come dimora personale, è forse l’apice delle manie di grandezza di Camille Maximilien Frédéric, conte di Renesse-Breidbach, autore tra l’altro di due libri. Uno su Gesù Cristo e i suoi apostoli e discepoli nel ventesimo secolo, l’altro su due mesi in yacht lungo la costa di Spagna, Portogallo, Marocco. Fuori dai giochi a Nizza, distrutto dal dolore per la prematura morte della moglie Malvina nata de Kerchove de Denterghem lo stesso autunno del suo fallimento, sul castello del conte caduto in rovina aveva messo gli occhi Segantini. Il castello neogotico immaginario, raffigurato in lontananza da Giovanni Giacometti nel quadro commissionato dal direttore del Maloja Palace, era infatti tratto da un disegno in matita di Segantini che favoleggiava di trasformare il castello, nella sua futura abitazione esuberante tipo i castelli di Ludwig II di Baviera.
Accanto alla vera casa di Segantini, lo chalet Kuoni abitato ancora dalla famiglia dove fuori in giardino bene in vista c’è il famoso atelier di Segantini – un caratteristico pavillon circolare in legno previsto per lavorare al panorama engadinese mai realizzato da esporre a Parigi – parte la passeggiata per la torre Belvedere. È quello che rimane del castello panoramico incompiuto, in alcune cartoline di una volta chiamato Schloss Renesse, dal 1953 in mano a Pro Natura.
M’incammino così lungo la strada sterrata che sale tra i cembri. Catturo, oltre la merlatura della torre che spunta un paio di volte, il violetto della cicerbita alpina in fiore. In una decina di minuti mi trovo davanti la torre Belvedere (1861 m) a Maloja o Maloggia o Malögia. Luogo ibrido: bregagliotto sulla carta – frazione dell’ex comune di Stampa – ma già engadinese per posizione, anzi, l’En nasce proprio qui. Lassù in alto eccolo l’En neonato scendere giù a rotta di collo. Nasce al lago Lunghin dove a poca distanza c’è il Passo Lunghin che è l’unico triplice spartiacque europeo: oltre al Mar Nero destinazione finale dell’En, attraverso la Maira si arriva all’Adriatico e con la Gelgia o Julia le acque giungono al Mare del Nord. La torre pseudomedievale, aperta di solito per mostre tematiche di Pro Natura è ancora chiusa per coronavirus, con le sue dodici finestre a feritoia nella luce cruda di un primo pomeriggio caldo di fine luglio, trasmette un po’ di desolazione. In piedi, a fianco, è sopravvissuto il basamento in pietra con tanto di arcate della parte saltata in aria durante una esercitazione militare nel 1955. Il sogno turrito naufragato – ispirato al conte de Renesse quasi di sicuro da Palazzo Castelmur in località Coltura – sfuggito anche a Segantini per la sua morte anzitempo, nel 1904 diventa dépendance del Maloja Palace. Il nuovo Hotel Castello Belvédère viene menzionato dall’«Engadin Express & Alpine Post» che lo descrive «ristrutturato in modo originale». In certe foto sbiadite appare con l’aggiunta sorprendente di uno chalet accanto alla torre. Il destino si accanisce di nuovo con un incendio nel 1913.
Salgo, con la tristezza leggera della visita distratta alle rovine, sulla terrazza rimasta. Specie di gronde di granito sono sparpagliate qua e là come massi cuppellari con l’acqua piovana negli incavi. Mi siedo su una bella panchina verde di legno vista montagne aguzze della Bregaglia. Picnic di oggi: mezzo avocado snocciolato la cui cavità è riempita di gamberetti. Per qualche anno, verso il 1918, la residenza-castello disegnata in origine probabilmente da Jules Rau (1854-1919), architetto belga che si è occupato dei piani del Maloja Palace, viene data in affitto a un certo Zucker che gestiva un collegio femminile. Scendo giù e passo sotto le arcate dove si coglie al volo il lilla pallido delle campanule barbate. Sbuco dove l’alta Engadina si tuffa per trecento metri di baratro nella Val Bregaglia. Alcune voci, ai tempi, quando il conte non si vedeva più in giro, dicevano che dopo aver scolato una cassa di champagne, una notte è caduto giù dalla torre nel precipizio. Una coppia anziana si gode, come me prima, il picnic e il panorama su un’altra panchina a ridosso del baratro. Un’altra attrazione, oltre alla torre Belvedere, sono le marmitte dei giganti. Scoperte nel 1882 proprio durante i lavori di costruzione della torre, le trentasei marmitte dei giganti – pozzi profondi nella roccia levigati dai ghiacciai – rappresentano, pare, le più numerose marmitte dei giganti d’Europa. Al posto di visitare le marmitte dei giganti però, preferisco dedicarmi a raccogliere mirtilli enormi.