La tentazione del no

/ 15.06.2020
di Luciana Caglio

Criticare le élite: nuovo sport popolare. Sembra quasi uno slogan. L’azzeccata definizione di un fenomeno, sempre più diffuso, spetta al politologo tedesco Herfried Münkler, docente universitario a Berlino e a Lucerna, saggista e, non da ultimo, giornalista. In un articolo sulla «NZZ», intitolato appunto Quelli in alto sono colpevoli! (Die oben sind schuldig!), analizzava con conoscenza di causa, ma senza pontificare, un tipico aspetto della società contemporanea. Dove i detentori del potere, politico, economico o giudiziario che sia, si trovano ad affrontare, non tanto l’opposizione degli avversari nei parlamenti quanto i malumori delle piazze. E, precisava poi l’autore, questa tendenza al risentimento reso pubblico si accentua nei periodi di crisi. Più crescono le difficoltà e più cresce il discredito che circonda quelli in alto, accusati di difendere i loro privilegi, le proverbiali poltrone o cadreghe, a discapito del benessere dei cittadini.

D’altro canto, mentre l’élite ufficiale perde consensi e simpatie, ne conquista una nuova élite: quella dei campioni sportivi, dei divi dello spettacolo, dei personaggi promossi da tv e social. Si tratta di ambiti, per forza di cose, non paragonabili. Da un lato, i responsabili di scelte ardue, che a volte appaiono punitive, tipo imposte, tariffe ferroviarie, accordi Schengen, ecc. Dall’altro i responsabili del tempo libero, che propongono svaghi, salute e cultura, cioè il bello della vita. Fatto sta che la politica, giustamente o ingiustamente sotto tiro, non è più sinonimo di un’autorevolezza da rispettare, bensì di un autoritarismo da contestare. Si moltiplicano motivi e pretesti che inducono a praticare lo sport della critica. Tanto da giustificare qualche perplessità. Proteste, cortei, fischi, referendum a iosa, per altro legittimi, giovano o danneggiano la democrazia? Münkler poneva un interrogativo imbarazzante: stai dalla parte del sì o del no?

Una precisazione è d’obbligo. Ho citato un articolo che risale al 14 giugno 2018. L’ho ripescato fra i ritagli del mio piccolo archivio che raccoglie commenti d’attualità meritevoli di conservazione. In questo caso più che mai. A distanza di due anni, quel pezzo sembra scritto oggi. L’infausta stagione della pandemia riconferma proprio come una crisi, questa volta anche sanitaria, alimenti malumori, diffidenze, persino astio nei confronti dell’élite che, per le circostanze, si è allargata. Comprende i politici, gli organi di polizia, gli addetti all’informazione, in particolare la RSI, i medici con funzioni burocratiche e via enumerando persone costrette a gestire una situazione insolita, persino irreale. Certo, ne hanno ricavato notorietà, pagandola però a caro prezzo. Chi, prima di marzo, conosceva la faccia del medico cantonale Merlani, del suo omologo federale Koch o del capo della polizia ticinese Cocchi? Evidentemente, alle prese con l’ingrato compito di imporre divieti, limitazioni, addirittura sgarri anticostituzionali, tipo segregazione domestica per anziani, distanziamento fra persone, frontiere chiuse, il rischio di sbagliare, di contraddirsi, di offendere era alto. E, infatti, le cadute di stile, di tatto, di linguaggio non sono mancate. C’era, e continua a esserci, un abbondante materiale a disposizione dei critici, categoria a sua volta diversificata.

C’è il critico occasionale che reagisce in un preciso momento. Mentre quello abituale lo fa per abitudine, per piacere, da professionista del genere. E se, adesso, dice peste e corna dei politici, impantanati nel caos Coronavirus, prima dirigeva il suo malcontento alle FFS, al vescovo, alla massoneria, al LAC, alla scuola, al futuro stadio a Lugano: in pratica a tutto e a tutti, confusamente. In fondo, incontrandolo al bar o leggendone l’ennesimo sfogo su un quotidiano, il bastian contrario riesce persino divertente. Sempre che la tendenza al no non precipiti nel negazionismo e nel complottismo. Pur di rifiutare la scienza ufficiale, si arriva a sostenere che la terra è piatta. E si scende in piazza, a Milano, per ribadirlo.

Casi estremi a parte, il piacere per la critica è sempre vivo e vegeto, anzi rinvigorito dalla prova COVID. 

Dopo la clausura, durante la mia prima uscita in centro città, ritrovando amici e conoscenti ho raccolto un’infilata di critiche e lamentele sull’operato di politici, poliziotti, autorità sanitarie, commentatori mediatici. La testimonianza, insomma, di un reale ritorno alla normalità.