Per un attimo si è temuto che la «Virusfrage» riaprisse antiche ferite tra Bellinzona e Berna: un nuovo strappo, a sfilacciare un tessuto che non è mai stato saldissimo negli ultimi due secoli. Già nell’Ottocento era sorto, impellente, l’interrogativo su come la giovane repubblica potesse agganciarsi al carro federale attraverso un collegamento viario stabile, non più dipendente dai capricci meteorologici e dai rigori dell’inverno. Per i politici di allora, in primis per Stefano Franscini, quello dell’isolamento era un cruccio costante: «Tutto il Cantone Ticino ne’ mesi di novembre, dicembre, gennaio, febbraio e marzo puossi quasi dire tagliato fuori dal resto de’ suoi confederati oltramontani. Tre vie ci mettono in diretta comunicazione con essi nella bella stagione, due sole e non sempre praticabili nella trista. Ond’è che in generale noi troviamo più agevole il cambio dei prodotti con Piemontesi e Lombardi» (Statistica della Svizzera, 1837-38).
L’apertura dell’asse ferroviario del San Gottardo, nel 1882, ridiede speranza e ossigeno all’anemica economia ticinese. A bordo delle traballanti carrozze della «Gotthardbahn», compagnia privata con sede a Lucerna, arrivarono capitali e imprenditori. Sulle rive del Ceresio e del Verbano spuntarono grandi alberghi, i borghi lacustri divennero animate cittadine percorse da tramvie. Ai porticcioli attraccavano battelli gremiti di turisti nordici. Ma l’agognata ferrovia non fu benefica per tutti i rami economici. I settori che intendevano smerciare i loro prodotti oltralpe si ritrovarono gravati da tariffe esorbitanti e quindi anti-economiche: erano le famigerate «soprattasse di montagna» ch’erano rimaste anche dopo la nazionalizzazione della «Gotthardbahn». A pagarne lo scotto era soprattutto l’industria del granito. Ancora negli anni Trenta del Novecento risultava che un gradino di un metro lineare costasse a Osogna fr. 12, mentre le spese di trasporto Osogna-Berna ammontassero a fr. 10.50…
Queste crasse discriminazioni generarono ripetute arrabbiature e ondate di proteste, soprattutto durante il periodo interbellico. Bellinzona fece presente più volte la particolare situazione in cui versava il Ticino attraverso «memoriali» passati alla storia come «rivendicazioni». Il primo fu inviato nel 1925, il secondo nel 1938. La sensazione generale era che gli «orsi bernesi» non capissero, che fossero sordi alle esigenze di una regione apprezzata unicamente per le sue bellezze naturali, come «Ferienland», ma non come comunità in carne ed ossa alle prese con i bisogni della vita quotidiana. Considerare il Ticino alla stregua degli altri cantoni era sbagliato: ragionare in termini di uguaglianza delle tre stirpi dinanzi alla costituzione e alla legge – osservò l’avvocato Fulvio Bolla, presidente della commissione granconsigliare – era come porre sul medesimo piano «la volpe e la cicogna di fronte alla bottiglia dal collo lungo…».
Nel secondo dopoguerra le campagne rivendicative s’incentrarono sulla necessità di integrare pienamente il cantone nella rete autostradale nazionale. Lo sviluppo vertiginoso del traffico veicolare rendeva ormai improcrastinabile lo scavo di un tunnel stradale sotto il massiccio del Gottardo. Parallelamente si richiedeva alla Confederazione un più sostanzioso aiuto finanziario per la tutela e la promozione dell’italianità. Insomma, continue petizioni per correggere le distorsioni e per esigere dalle autorità centrali un trattamento che tenesse conto delle disparità di fatto. Ancora nel 1995, il Consiglio di Stato constatava che le sue preoccupazioni trovavano «solo raramente» la comprensione che si attendeva.
Ciò nonostante la fiducia nel sistema, se non nell’amministrazione centrale, rimaneva intatta; capitava, è vero, che l’ingranaggio federalistico ogni tanto s’inceppasse, ma in tali occasioni Berna aveva sempre dimostrato benevolenza e sollecitudine nei confronti degli anelli più deboli della famiglia confederale. «La Svizzera sarà giusta», confidava nel 1938 il deputato liberale in Gran Consiglio Aleardo Pini: «è questa la ferma convinzione che ogni ticinese esprime oggi nell’imminenza di un nuovo passo del Governo cantonale a Berna sicuro che una politica federale saggia e chiaroveggente aiuterà una tale rinascita economica e spirituale del Ticino…». Un’attestazione di affetto, ma anche un invito a non mollare la presa.