La straordinaria storia di Sherry Turkle

/ 29.03.2021
di Natascha Fioretti

«Nonna, mi serve il tuo consiglio. Soltanto tu puoi aiutarmi. Come si puliscono i vetri senza Windex?» – «Con l’aceto e il giornale». È il consiglio della nonna Edith a una giovanissima Sherry Turkle nella Parigi del 1968, una città in piena ribellione e tumulti. Studentessa di Harvard, è la sua prima volta in Europa. In Francia vuole studiare storia, politica e sociologia a Sciences Po. Intanto però deve trovare un modo per mantenersi agli studi perché non soltanto proviene da una modesta famiglia ebrea americana di Rockaway ma ha appena perso la madre e Milton Turkle – suo padre adottivo – di lei non vuole più saperne. È contrariato dal rifiuto di Sherry di abbandonare gli studi per dedicarsi alla casa e ai fratellini minori. Ironia della sorte, il padre vero, Charlie, da tempo non si fa né vedere né sentire. Le restano l’amore e il sostegno dei nonni e della zia. Hanno sempre pensato che Sherry fosse una ragazza speciale, intelligente e brillante che, a differenza loro, avrebbe fatto strada. Hanno sempre fatto il tifo per lei, in particolare le tre donne, Edith, Harriet e Mildred. Le hanno insegnato che l’istruzione rende liberi, è il biglietto per raggiungere una qualità di vita migliore. E non hanno mai nascosto che raggiungere i propri sogni costa fatica e sacrificio soprattutto se sei povero. Per questo da bambina non le hanno chiesto di aiutare nelle faccende domestiche ma le hanno insegnato a leggere e poi a discutere di politica e società, delle origini della sua famiglia, di razzismo e antisemitismo.

Quando arriva a Parigi, Sherry ha la fortuna di incontrare Madame Suzanne Mullender, una ricca signora abituata ad affittare le stanze alle studentesse americane. La invita a stare da lei per qualche tempo, nel suo elegante appartamento su Avenue Niel, finché non trova una sistemazione permanente. A pranzo e a cena, la tavola è sempre imbandita con raffinatezza, per ciascun commensale ci sono tovaglioli di lino raccolti in un prezioso anello di metallo. Si mangiano zuppe e insalata, piccole porzioni di pesce e di carne, fette di pane francese, formaggio e frutta. Ma al di là del menù il pezzo forte sono le conversazioni e gli scambi culturali a tavola. Necessari quanto il cibo. Ci si aspetta da tutti il racconto dell’ultima mostra visitata, dell’ultima volta a teatro o del libro appena letto. Ci si attende che ciascuno non solo racconti la sua esperienza ma condivida la sua opinione, il suo punto di vista. Il tutto, naturalmente, in francese. Sherry apprezza molto l’ospitalità e si dispiace quando arriva il momento dei saluti.

Va a vivere con la collega Catherine in un appartamento al numero 70 di Rue du Bac, nelle vicinanze di Saint-Germain-des-Prés e dell’Istituto di studi politici. Catherine è una donna elegante e pratica, una tipa esotica, studia politica e cultura cinese. Porta Sherry nei ristoranti di cous cous, le fa bere il tè marocchino della moschea e fanno shopping nei mercati locali. Tornando all’appartamento di proprietà dei signori Dumas, Sherry non può permetterselo. Quando però la signora Dumas le dice di essere in cerca di una signora delle pulizie vede la sua occasione. Elargisce un bel sorriso e le mente spudoratamente: «Ma grand-mère m’a bien appris». Sono voluta partire da qui, da questo aneddoto, uno dei tanti raccontati nel libro appena uscito The Empathy Diaries: A Memoir in cui, lo avete capito, la sociologa, psicologa e tecnologa statunitense, classe 1948, ripercorre la sua vita. Ci racconta di sé, delle sfide, delle delusioni personali, dei lutti ma anche delle sue grandi soddisfazioni e conquiste per dirci che dietro ad ogni persona c’è un percorso esistenziale che negli anni ha modellato e rimodellato costantemente la sua identità. Attraverso le sue memorie ci ricorda la bellezza di essere umani e connessi in tutta la nostra fisicità e fragilità. Ci ricorda quale sia la nostra insostituibile magia. La capacità di lottare per i nostri traguardi, di rialzarci sempre dopo un fallimento, una grande delusione o un lutto. Per farlo dobbiamo guardarci dentro, analizzare i nostri pensieri, ricostruire l’origine dei nostri stati d’animo.

Pioniera della cultura digitale, studiosa del modo in cui i computer cambiano le nostre vite, trasformano il nostro modo di vederci, Sherry Turkle parte da sé stessa, dalla sua carriera per poi allargare l’obiettivo e raccontarci una storia che ci riguarda tutti, quella della nostra epoca digitale. Vi ho incuriosito? Vi aspetto qui tra due settimane.