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La speranza nei momenti più difficili

/ 17.05.2021
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
non sapevo di questo caso strano, dove una donna rifiuta di dare una goccia di sangue per salvare la figlia non-desiderata ormai adulta. Grazie per aver chiarito e completando l’informazione molto lacunosa che la precedeva...
Per quanto mi concerne trovo che sì, sia disumana la reazione della donna abusata, anche se capisco il risveglio prontissimo del suo dolore, odio e collera sepolti dagli anni sotto una lastra sottile. Ma di non voler venire in aiuto alla creatura che non ha chiesto di nascere e ormai diventata una donna adulta, anche senza voler sapere chi è diventata, proprio non posso capirlo. Come tante cose nella vita...
La sua posizione (che bisogna perdonare) la capisco, (è un consiglio che si sente spesso espresso da molta gente), ma non posso condividerla, lei dice che se no, non si può amare di nuovo. Mi pare che questa donna diventata di roccia nei confronti di questa figlia, nata dal terribile episodio passato, abbia potuto benissimo rifare la sua vita, diventata madre e perfino nonna e dunque sia rimasta capace di amare.
Sento dentro di me una forma incurabile di rancore per quell’uomo che mi ha lasciata nel 2008 da un momento all’altro per un’altra donna (qualche anno dopo si è suicidato), ma anche di gratitudine per aver incontrato persone che contano. Non ho, però, trovato più nessuno che abbia risvegliato un amore in me, apprezzamento sì, ma amore no... forse sono indurita anch’io in un certo senso...
La ringrazio di cuore per continuare a dare voce a chi le scrive e dare un aiuto sempre benefico, pieno di compassione e comprensione della vita a larga scala e Le porgo i miei saluti d’ammirazione e di amicizia. /
Margaretha

Cara amica,
le confesso che anche a me la Stanza del Dialogo del 3 maggio, intitolata «Se la maternità non corrisponde all’ideale», aveva lasciato una certa amarezza. L’esistenza di una mamma cattiva ferisce l’umanità perché tutti si nasce figli, assolutamente incapaci di bastare a se stessi, bisognosi per sopravvivere di assistenza e di cura.
Lei contesta la mia affermazione che chi non sa perdonare e rimane in preda al rancore non riesce ad amare, osservando che in fondo questa vecchia donna, nonostante tanta durezza, è stata in grado di sposarsi, di avere altri figli e diventare nonna. Può bastare? Non credo. L’amore, come il calore, non si vede e l’indifferenza – lo racconto nella mia biografia d’infanzia Una bambina senza stella – non fa scandalo. Ma poi lei stessa si contraddice quando ammette che, dopo un abbandono improvviso, non ha più saputo costruire un legame d’amore. Ci vogliono fiducia e speranza per accogliere un estraneo e decidere di procedere insieme verso un futuro condiviso. Due passioni che, una volta perdute, difficilmente si ricostituiscono da soli. Ma la storia non finisce qui.

Come nelle favole, quando sembra trionfare il male, quando tutto sembra perduto, sopravviene un colpo di scena che ristabilisce il lieto fine, quello che gli ascoltatori attendevano sin dal primo momento perché nelle favole la conclusione anticipa l’inizio. Se raccontiamo ai bambini vicende terribili, come quella di Hänsel e Gretel, è perché nell’inconscio i piccoli sanno già che i loro eroi se la caveranno alla grande. In un certo senso la rassicurazione precede la paura. 

Non so se, anche il caso della madre che nega alla figlia la goccia di sangue che potrebbe salvarle la vita, sia stato recepito da noi adulti con altrettanta fiducia. Probabilmente le vicende dell’esistenza cancellano l’ingenuità infantile sino ad approdare nello scetticismo nei confronti della «razza umana». Come asseriva un importante e discusso uomo politico italiano: «a pensar male non si sbaglia mai». Invece questa volta abbiamo sbagliato tutti perché quella che sembrava una «madre snaturata» è tornata sui suoi passi e, smentendo il diniego iniziale, si è dichiarata disposta, fermo restando l’anonimato, ad aiutare la figlia dimenticata.

Probabilmente in un primo momento avevano prevalso i meccanismi di difesa, le barriere costruite tanto tempo fa nei confronti di un’angoscia insopportabile, quella provocata dallo stupro, dalla solitudine e dal lacerante abbandono della neonata in ospedale. Difficile immaginare un dolore così grande e la forza richiesta per continuare a vivere. Ma alla fine la ragione ha prevalso sulle emozioni, la riflessione sulla pulsione.

È forse il caso, in questo tempo spaesato, in cui ogni giorno siamo esposti al conflitto tra la necessità di controllo e il bisogno di vicinanza affettiva, di evocare la capacità della Psicoanalisi di pronunciare, anche nei momenti più difficili, parole di speranza. 

Scrive infatti Freud: «… la voce dell’intelletto è fioca, ma non ha pace finché non ottiene udienza. Più e più volte pervicacemente respinta, riesce alla fine a farsi ascoltare. Questo è uno dei pochi punti che consentono un certo ottimismo per l’avvenire dell’umanità». (S. Freud, L’avvenire di un’illusione, 1927).