L’alleanza tra popolari e conservatori, tra i democristiani e i sovranisti, tra i moderati e i populisti è lo schema di Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio italiana vorrebbe esportarlo in tutta Europa. Eppure in Spagna non ha funzionato. I suoi amici di Vox e i popolari non hanno la maggioranza assoluta, e faticheranno a stringere accordi con baschi e catalani, ma ci proveranno con i moderati del Pnv.
I popolari sono il primo partito. Ma non sfondano. I socialisti guadagnano sia voti sia seggi. Tengono. Ma per fare il governo dovranno trasformare l’astensione dei baschi e dei catalani di Esquerra republicana, sinistra repubblicana, in un sì; mentre i separatisti di Junts per Catalunya, il partito dell’esule (o latitante) Carles Puigdemont, dovrebbero astenersi anziché votare no. E Junts ha già chiesto un referendum per l’indipendenza, che nessun governo di Madrid potrà mai concedere. Insomma, al momento non è escluso che la Spagna possa tornare al voto, magari già in autunno. Anche se il leader socialista Pedro Sanchez proverà a salvare la sua maggioranza progressista. In ogni caso, l’idea della Meloni esce ridimensionata. Le chiavi del centrodestra spagnolo non sono nelle mani del suo alleato, Santiago Abascal – che la premier chiama confidenzialmente Santi –, ma di un moderato, un centrista, un democristiano come il leader dei popolari Alberto Núñez Feijóo.
Feijóo è lo storico presidente della Galizia, la regione dove si sono formati tutti i capi della destra spagnola del Novecento. A cominciare da Francisco Franco, gallego di Ferrol. Galiziani erano pure Manuel Fraga Iribarne, ministro di Franco e fondatore del partito popolare, e Mariano Rajoy, l’ultimo premier di centrodestra. Uomini prudenti e, se necessario, feroci. Neppure Feijóo è un tipo espansivo; ma non è un estremista. Dovendo decidere se inseguire i radicali di Vox o conquistare il centro, i popolari hanno scelto la seconda opzione. Domenica 23 luglio hanno vinto; sono il primo partito in tutte le regioni, tranne la Catalogna, i Paesi baschi e l’Estremadura; ma non hanno vinto abbastanza. Una volta si diceva che la mappa elettorale spagnola coincideva con quella dell’«Alzamiento» di Franco del 1936: dove il colpo di Stato militare aveva avuto successo, si votava a destra; dove aveva fallito, si votava a sinistra. Ora non è più così.
Neppure «Santi» Abascal, che di Vox è il fondatore, è un franchista. È un anti-antifranchista. Per lui falangisti e rossi pari sono: «La sinistra vuole riaprire le ferite del passato, noi vogliamo chiuderle». La storia che lo interessa è quella della Reconquista contro i mori, dei Re Cattolici, dei Conquistadores che costruirono l’impero spagnolo in America. Teorizza l’Iberosfera: è contro l’immigrazione, tranne i cubani anticastristi e i venezuelani che odiano Maduro. È contro la «dittatura progressista» e per una «destra senza complessi». Il suo non è un voto nostalgico, ma reazionario. È l’espressione spagnola di quello che il grande scrittore Javier Cercas definisce «il nazionalpopulismo». In realtà, i popoli dei grandi Paesi europei non hanno una gran voglia di farsi stringere nella morsa tra i sovranisti e questa nuova versione, conservatrice e un po’ torva, dei popolari. Perché sono affezionati ai diritti e alle libertà. E perché sanno, o almeno intuiscono, che il sovranismo è la fine dell’Europa.
In Italia è diverso: la destra è egemone. Nel resto d’Europa però non funziona così. In Germania la Merkel per sedici anni ha rifiutato di collaborare con la destra, preferendo allearsi con i socialdemocratici; e ora che il suo successore Merz ha aperto alla possibilità di accordi locali con gli estremisti di AfD, subito mezzo partito si è ribellato. In Francia il populismo bruno della Le Pen e quello rosso di Mélenchon non si uniscono, mentre la destra repubblicana e la sinistra riformista hanno eletto per due volte Macron.
Ora la Spagna ha rifiutato la prospettiva di un governo di destra dura. E anche se il vento che spazza l’Europa non è di sinistra, dalla Finlandia alla Grecia (e ora tocca all’Olanda), molti hanno compreso che l’Europa ormai è irreversibile, a maggior ragione ora che dopo la pandemia la Germania ha accettato di fare debito comune, e di fatto di garantire i debiti pubblici degli altri paesi. Tra l’altro, gli investitori tedeschi controllano in particolare il debito pubblico spagnolo. Anche per questo la Spagna ha dovuto e saputo resistere alle sirene del sovranismo.