Finalmente il vaccino. Per primo è partito il Regno Unito, bruciando le tappe, forse anche troppo. Poi hanno seguito gli Stati Uniti. L’Europa se l’è presa con calma; forse anche troppa calma. L’Ema, l’agenzia europea per il farmaco, non fa test di laboratorio, non conduce esperimenti sulla popolazione; esamina dati, cioè scartoffie elettroniche. Il sì al vaccino Pfizer appare scontato. Forse gli euroburocrati potevano decidersi prima. Comunque hanno accelerato i tempi, e con la fine dell’anno si incomincia.
La campagna di vaccinazione sarà la grande sfida del 2021. In tutto il mondo, e in particolare in Italia. Il governo Conte, mai così debole, si gioca molto. La macchina amministrativa e sanitaria ha funzionato male durante l’emergenza e pure nella fase di distribuzione dei vaccini antinfluenzali; ora è chiamata a riscattarsi.
È normale che di vaccini si discuta; anche se trovo immorali le persone che, avendo una responsabilità pubblica, nicchiano o addirittura annunciano che non si vaccineranno. Ed è normale anche che si stabiliscano delle priorità. Siccome all’inizio non saranno disponibili dosi per tutti, è giusto che siano vaccinati prima medici e infermieri, che sono i più esposti al rischio di contrarre la malattia e pure di diffonderla. Hanno già pagato un prezzo altissimo. Le prime dosi spettano a loro.
Dopo incomincia il dilemma: proteggere i più giovani, affinché possano andare a scuola, ed evitare di contagiare gli anziani? Oppure proteggere i più deboli, anziani e malati, che corrono il maggior pericolo di morire? Il governo italiano ha scelto quest’ultima soluzione. Non si dovrebbero però dimenticare le categorie che lavorano a contatto con il pubblico, dalle forze dell’ordine ai ferrovieri, dagli insegnanti ai cassieri dei supermercati: categorie reduci da un anno durissimo.
Ma ecco che si affaccia il problema contrario: molti italiani il vaccino non lo vogliono proprio fare. I vaccini godono di cattiva fama; si pensi al calo delle immunizzazioni dal morbillo, che è costato all’Italia diversi focolai, richiami ufficiali e uno dei più bassi livelli di copertura in Europa.
A mio avviso, il vaccino per il Covid dovrebbe essere obbligatorio; ma già sappiamo che non lo sarà. Del resto, non è facile imporlo per legge. Si potrebbe studiare una soluzione mista: obbligo per gli italiani che lavorano a contatto con il pubblico; e incentivo per gli altri. Vuoi andare allo stadio, al cinema, a teatro? Devi avere il patentino da vaccinato. Vuoi prendere un aereo o un treno? Idem. Vuoi entrare in discoteca o al centro commerciale? Pure. In questo modo si salva la libertà di chi non intende vaccinarsi; ma non gli si concede la licenza di infettare gli altri.
Purtroppo la fiducia è bassa, e la depressione avanza, così come l’uso di tranquillanti. La pandemia ha accelerato cose che stavano già accadendo e sarebbero accadute comunque: l’egemonia del commercio elettronico e del lavoro a distanza; la prevalenza della vita virtuale su quella reale. Purtroppo, tra queste cose c’è anche l’impoverimento dei rapporti umani, il degrado delle relazioni tra le persone.
Non è un fenomeno nuovo. Risale almeno a vent’anni fa, quando noi europei abbiamo iniziato a svuotare i luoghi dove i nostri padri per secoli si erano conosciuti e riconosciuti, scontrati e riappacificati: le piazze, i centri storici, i borghi, le chiese, e poi le botteghe, gli stadi, i teatri, i cinema. La domenica abbiamo iniziato ad andare al centro commerciale o all’outlet, che diventava metafora della svendita: mercificazione dei valori, rarefazione degli scambi tra gli esseri umani. A questo si aggiungeva il crollo della buona educazione, il dilagare di questa idea malsana per cui la cortesia – rivolgersi al prossimo con rispetto, non parlare a voce alta in treno o nei locali, non fumare in faccia a chi non fuma, rimproverare il figlio che si comporta male, non insultarsi al volante… – è considerata una forma di debolezza, un orpello spagnolesco di cui liberarsi.
Poi è arrivato lo smartphone, trasformando quella che un tempo si chiamava Agorà (o Foro) in una piazza elettronica, dove tutti parlano, molti gridano, qualcuno insulta, e nessuno ascolta. La pandemia ha fatto il resto. Ha desertificato il cuore delle nostre città, e un po’ anche il nostro. Ha portato un carico di dolore, sospetto, paura, diffidenza. E ha impedito di incontrarsi, stringersi la mano, sorridersi, parlarsi occhi negli occhi, abbracciarsi. È entrato in crisi pure l’outlet; è il tempo di Amazon e dei social.
L’augurio per il 2021 non è solo di liberarsi della pandemia; è anche di ritrovare il gusto di essere europei, e in particolare italiani o ticinesi; perché del nostro stile di vita fa parte anche la socialità, lo stare insieme.