La sirena di Valendas

/ 15.03.2021
di Oliver Scharpf

Dagli etruschi a Starbucks, la sirena bicaudata, si sa, è uno straordinario simbolo universale. Eppure è nei Grigioni che questo tipo di sirena d’acqua dolce, libera di spalancare le due code sollevate con le mani come una don-na alzerebbe gli orli della gonna, ha trovato terreno fertile. Infatti è la figura che s’incontra più spesso, affrescata o sgraffitata, sulle facciate delle vecchie case grigionesi. Mi è restata impressa, per esempio, e ancora riaffiora a volte, una sirena a sgraffito vista un mattino a Sent, in Bassa Engadina. I capelli lunghi a coprire il seno, la corona in testa, le mani che tengono simmetricamente le due code divaricate. Mentre la più antica rappresentazione della sirena bicaudata nel canton Grigioni, databile tra il 1109 e il 1114, si trova sul meraviglioso soffitto di legno dipinto della chiesa di Zillis. Tre sirene che suonano: una la viola, l’altra l’arpa, l’ultima il clarinetto. Forse la più speciale di tutte però è quella che vado a pescare oggi, in Surselva.

Il trenino rosso s’incunea controcorrente nelle bizzarre gole del Reno anteriore che scorre energico e mangio con gli occhi. Se le precipitose formazioni di roccia ghiaiosa grigio chiaro mi fanno venire in mente un’ambientazione da saghe fantasy, i flutti magnetici del Reno che si snoda serpeggiando mi ricordano l’inizio del Rheingold (1869) di Wagner. Quando, nel verdognolo crepuscolare delle acque, entrano in scena Woglinde, Wellgunde, e Flosshilde, le tre ninfe – come tre sono le sirene musiciste di Zillis – figlie del Reno e custodi del suo oro. Dalla stazioncina-chalet Valendas-Sagogn lungo i binari accanto al fiume, in mezzoretta risalgo la strada che porta al paesino di Valendas. Note di viaggio: avanzi di neve con sopra rami potati degli alberi da frutta, il volo di due poiane, un picchio rosso nel bosco, una rovina di castello, un ospizio per cavalli e pony che mi guardavano rimbambiti ma felici e compresi. A naso m’infilo tra le case e stalle di questo villaggio quasi nascosto di neanche trecento anime in tutto, comprese le frazioni, a quote superiori, di Carrera, Brün, Turisch, Dutjen.

Poco prima di mezzogiorno sbuco nella piazza dove troneggia, in cima a una grande fontana rettangolare di legno, la sirena di Valendas (811 m). È molto più bella del previsto. Lo sguardo lievemente impaurito ricorda gli animali selvatici, la mano sinistra copre un seno. L’altra mano tiene un mazzo di fiori cesellati, coprendo così il seno destro della scultura in legno dipinta risalente al 1760. In testa ha un cappello enorme stile cappelli di paglia di Firenze, i capelli scendono sciolti sulle spalle, dietro la schiena ecco le due code guizzanti da pesce che arrivano su fino alle falde larghe del cappello. L’acqua sgorga tripartita. È la Ritscha: naiade grigionese che vive in certe antiche fontane, fiumi, ruscelli. Tanto radicata nella vita di tutti i giorni che i pescatori di queste parti, quando s’incontrano, visto che per scaramanzia buona pesca non si augura mai, si salutano così: «Bütscha la Ritscha!». Bacia la Ritscha!

La sirena regionale che ricorda l’arcaica dea madre alpina Raetia. O Reitia, la divinità paleoveneta delle acque. Rinvenuta in fondo a un pozzo, in località Millepertiche di Musile di Piave, incisa a sbalzo sul bronzo, è raffigurata con un fiore in mano che si schiude. Come i due narcisi sbocciati qui, tra i tre tulipani rossi ancora chiusi, in mano alla Ritscha che sovrasta la fontana gigante sopra il versante destro delle gole del Reno anteriore. C’è anche un cuore alla base del bouquet di fiori stretti al petto. Nessun geranio ancora, negli otto portavasi sul piedistallo alto più di due metri. Al cospetto del quale lavo un finocchio sotto l’acqua corrente di uno dei tre tubi in ferro. E al volo, seduto sulla panca di legno lunga quasi otto metri che accompagna tutta la lunghezza della fontana, preparo un carpaccio di sottili fette di finocchi e petali di parmigiano. Picnic ascetico nell’aria frizzantina di marzo, senza fretta, ai piedi della magnifica sirena bicaudata sursilvana. Il larice della fontana – tra l’altro pare, nel suo genere, sia la più grande d’Europa – è ottenuto dagli alberi abbattuti nelle notti invernali di luna calante. Mondholz rinnovato sei volte, dalla nascita della fontana coeva della sirena, a cadenza pressoché generazionale.

Graziosa di suo, la Ritscha con l’insolito copricapo da Chiantishire, è comunque aiutata dallo sfondo di tre vecchie case patrizie ben conservate e una stalla. Il cappello, spaesante per una sirena bicaudata, mi fa venire in mente una signora inglese appassionata di giardinaggio che legge troppi romanzi rosa. Tonalità verderame, da vicino si vede che è di metallo. Non solo un capriccio dunque, il sorprendente cappello spiazzante, ma copre e protegge dalle intemperie tutta la statua di legno. Civettuola e selvaggia, la sirena di Valendas, in tutti questi duecentosessantuno anni, ne avrà viste di tutti i colori e sentite di cotte e di crude. Spirito acquatico fecondo come le nixe musicali wagneriane tratte dall’antico folclore germanico o le sirene bicaudate dei capitelli delle chiese romaniche, in sospensione eterna tra due poli come il procedimento per l’oro alchemico, in Bregaglia la chiamano Murgäna e assume i tratti omerici del pericolo. Ai bambini dicono di non avvicinarsi mai ai ruscelli.