Adesso, superfluo ricordarlo, è la volta della civica, alias educazione alla cittadinanza, che va a infoltire l’elenco delle incombenze da affidare alla scuola, considerata una sorta di toccasana multiuso. Dove, infatti, affluiscono richieste d’intervento d’ogni tipo: educazione stradale, educazione sessuale e affettiva, educazione religiosa, educazione alimentare, educazione al corretto utilizzo dei mezzi informatici, educazione ai rapporti multietnici, e via enumerando gli aspetti più problematici della convivenza attuale. Fra i quali figurano fenomeni, diffusi e allarmanti, quali l’indifferenza ideologica e la cosiddetta antipolitica. Sono guai, avvertiti anche nel nostro microcosmo cantonale, che hanno indotto un gruppo di autorevoli benpensanti a chiedere un aiuto alla scuola proponendo, anzi imponendo, un rimedio ritenuto efficace: l’insegnamento della civica, come materia a sé stante scorporata dalla storia, e in grado di risvegliare, fra i giovanissimi, l’interesse per la cosa pubblica in vista di una futura partecipazione attiva.
L’obiettivo, a prima vista, appariva, figurarsi, ragionevole, difendibile, forse utile. Anche se, il rilancio della civica aveva alle spalle un precedente elettorale negativo. Ma, al di là delle buone intenzioni, questa nuova crociata salvifica doveva diventare una trappola insidiosa, che avrebbe rivelato non tanto le virtù di un leale confronto democratico quanto i vizi di uno scontro astioso, confuso, persino noioso. Da che parte stare, chi ha ragione, qual è in definitiva il senso di quest’inattesa baruffa? Domande senza risposta.
Una cosa, invece, è certa. Si è assistito a una contraddizione, addirittura paradossale. Mentre si ricorreva alla scuola, per ottenerne il sostegno attraverso l’insegnamento impartito nelle aule, riaffiorava un vecchio, e forse inguaribile pregiudizio, proprio nei confronti dei docenti: definiti, globalmente, «una casta privilegiata», oltretutto «pagata con i nostri soldi». Sui quali grava persino la minaccia di un intervento del Consiglio di Stato, chiamato a controllare se maestri e professori, durante le pause «pagate», fanno propaganda per il «no» alla civica. Come dire, un autogol per i fautori della causa pro civica: che si sono persi i loro più preziosi alleati, i docenti declassati a fannulloni in blocco. L’episodio è da barzelletta.
Il ridicolo involontario, insomma, non risparmia neppure la politica, e aiuta a superare lo sdegno. Lo conferma, persino esemplarmente, questa vicenda, tutta ticinese, dove un episodio, in sé minuscolo, gonfiato a dismisura, ha finito per avere effetti opposti a quelli previsti. Ne è uscito, infatti, un modello da non imitare. Altro che l’obiettivo d’impartire una lezione di morale politica a fini patriottici, qui si mirava a sfruttare l’occasione a fini partitici, cioè per procurarsi voti. Puntando sull’ipotetico seguito dell’elettorato giovanile.
È una sfida che vede in gioco tanti partner responsabili. E, non soltanto la scuola, sempre sotto tiro, come se fosse l’unico luogo e istituzione, cui spetta il compito di accompagnare bambini, ragazzi, adolescenti verso l’identità di adulto autonomo. Si ignorano, o sottovalutano, i tanti altri fattori, umani e ambientali, che devono, o dovrebbero contribuire alla crescita dei giovanissimi. Oltre alla famiglia, che tende a delegare agli altri un compito così delicato, contano sempre più gli influssi esterni, dei compagni, dei personaggi dello spettacolo, dei rapporti attraverso i social. Sono fattori che chiudono, in particolare gli adolescenti, gli allievi delle medie, in un universo tutto loro, linguaggio compreso. Diceva, in proposito, l’editore Valentino Bompiani: «I giovani parlano d’altro». Si tratta, quindi, di trovare le parole e il tono giusti, per mettersi in sintonia con questa generazione, chiusa in quel mondo a parte, che è temporaneo, ma rappresenta un passaggio obbligato nella nostra storia individuale. Un momento, insomma, in cui la politica è una cosa da vecchi, che non interessa. Riusciranno ad abbattere questo tabù, i sostenitori di una civica destinata a conquistare la generazione 2.0? Ascoltando e leggendo i loro proclami, qualche dubbio si giustifica. Magari una ripassata ai manuali di grammatica e al vocabolario servirebbe.