È l’anno di Beppe Fenoglio (6–), di Pier Paolo Pasolini (5½), di Giorgio Manganelli (5+), di Luigi Meneghello (5½), di Luciano Bianciardi (5+), tutti scrittori nati nel 1922, come Jack Kerouac (5–), Kurt Vonnegut (6–) e José Saramago (5½). Nascevano questi grandiosi narratori e il 27 gennaio moriva Giovanni Verga (6)… Moriva Verga e il 18 novembre sarebbe morto anche Marcel Proust (6). Tutto questo nell’anno in cui, il 2 febbraio, usciva un capolavoro come l’Ulisse di James Joyce (6––). Non mancheranno occasioni di celebrazioni rotonde in quest’anno appena partito (a balzelloni).
Già sappiamo che nei prossimi mesi renderemo omaggio al soprano Renata Tebaldi (1° febbraio), all’attore Ugo Tognazzi (23 marzo) e al suo amico Raimondo Vianello (7 maggio), al leader comunista Enrico Berlinguer (25 maggio), al fondista cecoslovacco Emil Zátopek (19 settembre), al brigante Salvatore Giuliano (il 22 settembre), al pittore Lucien Freud (8 dicembre). Tutti nati nell’anno glorioso 1922. Quasi quotidianamente avremo delle buone ragioni per vivere di (ottimi) ricordi: forse per consolarci della mestizia attuale?
Ha scritto Oscar Wilde: «Molti calendari moderni guastano la dolce semplicità delle nostre vite ricordandoci che ogni giorno che passa è l’anniversario di un qualche evento perfettamente privo di interesse» (5+). Dovremmo forse correggere il suo pensiero: «Molti calendari rallegrano la scialba semplicità delle nostre vite ricordandoci che ogni giorno è l’anniversario di un evento non privo di interesse in mancanza di meglio» (5½). Non privo di interesse? E sì, perché in mancanza di meglio saremo comunque sollecitati a (ri)leggere Pasolini, Fenoglio, Meneghello, Vonnegut, Verga… e chi più ne ha più ne metta. D’accordo, non è poco, ma il presente vivrà solo di luce riflessa (del passato)? Bella domanda (6).
Per un Beppe Fenoglio morto nel 1963, c’è un altro Fenoglio vivo e vegeto. Si chiama Jérôme, non è parente, nel senso che non ha nulla a che fare con l’autore di Una questione privata (6), ma merita 6 pure lui, anche perché ci aiuta a guardare al presente con un po’ di ottimismo. È il direttore di «Le Monde», il quotidiano francese (6–) che ha appena compiuto 77 anni e ha raggiunto i 500 mila abbonati, oltre 400 mila dei quali digitali e quasi 90 mila per l’edizione cartacea. A cui vanno aggiunte le 30 mila copie vendute in edicola. La redazione è cresciuta e mentre altri giornali perdono lettori e licenziano, «Le Monde» guadagna (anche lettori giovani) e assume redattori. Sono numeri riferiti su «la Repubblica» dalla corrispondente a Parigi Anais Ginori.
Dunque, c’è un modo per salvare l’informazione di qualità? C’è, l’importante è che sia davvero di qualità, con inchieste serie, reportage non ovvi, approfondimenti inediti e commenti ben argomentati. Sfogliate «Le Monde»: non troverete gossip televisivo né pettegolezzo politico. I canali di diffusione (on line, digitale, social, carta) contano, ma meno di quel che si pensa: «Bisogna andare verso i lettori, non aspettare che vengano a cercarci» spiega Fenoglio, il cui progetto è di abbattere la barriera linguistica e raggiungere nuovi lettori (stranieri) proponendo una selezione di articoli in inglese.
In una sola edizione di un giorno qualunque, oltre alle notizie obbligate sulla diffusione del Covid, potete trovare su «Le Monde» un servizio che racconta da Nuova Delhi l’odio antimusulmano dei fondamentalisti indù, da Città del Capo una cronaca a piena pagina dei funerali di Desmond Tutu, un’analisi sui danni ambientali della pesca a strascico negli oceani, un’inchiesta sulla crisi universitaria e sulla salute mentale degli studenti al tempo della pandemia, un reportage da Gicumbi sull’incredibile ascesa del ciclismo in Ruanda. E lunghe recensioni critiche di spettacoli teatrali, di cinema, di musica.
Non isterici articoli mordi-e-fuggi, ma servizi ampi per un lettore poco disposto a sottoscrivere un abbonamento per farsi prendere in giro dal cosiddetto «alleggerimento», stanca ossessione delle redazioni in calo di idee. Ma neanche attratto irresistibilmente dal rito dei centenari: ci piaccia o no, c’è un presente che va indagato e compreso. «La vera generosità verso il futuro consiste nel donare tutto al presente», ha scritto Albert Camus (6–), di cui quest’anno non c’è nessun centenario da festeggiare.