Gentile Signora Vegetti Finzi,
mia figlia, 36 anni, donna intelligente, affermata, con un buon lavoro, dopo due lunghe storie con uomini molto in gamba, ambedue lasciati da lei, è andata a convivere con una sua collega un po’ più giovane. Devo dire che faccio fatica a capire questa sua scelta, ma lei mi dice che l’amore non guarda il sesso, che finalmente ha trovato la persona giusta e che ritiene ciò del tutto normale. Non si ritiene lesbica e comunque le piacciono ancora gli uomini, anche se non li stima più così tanto come prima perché li trova per la maggior parte egoisti. Inoltre mi ha riconfermato che non ha nessuna intenzione di avere figli. Io sono divorziata da 20 anni: mio marito mi ha lasciata per un’altra donna. Non so se anche questo abbia contribuito a creare un suo pregiudizio nei confronti del sesso maschile... Anche se vedo che mia figlia è serena e tranquilla, continuo a farmi domande. Le sarei grata se, data la sua grande esperienza e saggezza, riuscisse a farmi capire un po’ meglio quello che le sta accadendo. / Una mamma in ricerca
Cara mamma,
siamo tutti «in ricerca» da quando gli stampi della tradizione si sono infranti e ci troviamo dinanzi al compito di procedere nel vuoto, senza le costrizioni ma anche senza le rassicurazioni di un tempo. Come si fa a valutare se stiamo facendo la cosa giusta quando si è perduto il canone della giustizia? Alcuni lo trovano nella religione, altri nella tradizione ma a molti non resta che ascoltare la Legge morale che, secondo Kant, è iscritta nel cuore di ogni uomo. Ricorda la famosa frase dell’etica kantiana: «Il Cielo stellato sopra di me, la Legge morale in me»?
Sua figlia ha sicuramente vissuto con dolore le relazioni con gli uomini, a partire dal padre che, abbandonando lei, la madre, ha certamente ferito anche la figlia. Si tende a sottovalutare il coinvolgimento dei figli nella separazioni coniugali ma, dopo aver letto duecento lettere dei figli in occasione della scrittura del libro Quando i genitori si dividono: le emozioni dei figli, sono certa che, a qualsiasi età, vivono con grande sofferenza l’infrangersi della loro famiglia. Facendo due calcoli, mi sembra di capire che sua figlia aveva 16 anni quando il padre se n’è andato. A quell’età una ragazza si attende che il papà, il primo uomo della vita, confermi la sua femminilità, la convinca della capacità di essere ammirata, prescelta ed amata. Se questo non avviene permane un senso profondo di insicurezza e disvalore. I partner successivi non devono essere stati capaci di colmare quel vuoto, di appagare quella fondamentale mancanza e di conseguenza, anche se erano ottime persone, sono stati lasciati per inadeguatezza. L’attuale convivenza con una collega più giovane, che non costituisce una partner ma un’amica, rappresenta una pausa dopo le esperienze precedenti di fallimento. Credo che sua figlia sia stanca, stanca di illudersi e disilludersi che una convivenza felice tra i due sessi sia possibile. Di fatto non è semplicissimo stare insieme e, se manca il desiderio di un figlio, le forze centrifughe, che sempre ci sono, prevalgono più facilmente su quelle centripete. Capisco il suo sconcerto così come comprendo la sua tristezza per dover rinunciare ad aver un nipotino. Ma non è detto: a 36 anni, l’età di sua figlia, il ciclo della fecondità femminile è ancora aperto e basta poco per ricredersi e riattivare il progetto materno. Il desiderio di un avere un bambino rimane spesso latente nella mente di una donna ma, quando trova le condizioni favorevoli, si presenta spontaneamente nel sogno, nella fantasia, nel sintomo e reclama attuazione. Sono processi inconsci che non si possono programmare e le pretese dei nonni non fanno altro che ostacolarli. Un figlio si può attendere ma non pretendere e questo vale a maggior ragione per i nipoti.
La cosa migliore mi sembra considerare la scelta un po’ inconsueta di sua figlia come una tappa lungo la corsa della vita. In certi momenti si avverte il bisogno di riposare, di prender fiato dopo che si sono spese tutte le proprie risorse, o così sembra. Di fronte a questa esigenza a lei non resta che attendere senza patemi, rassicurata dal fatto che sua figlia è «serena e tranquilla». Tanto più serena e tranquilla se potrà scorgere nei suoi occhi di mamma «fiducia e speranza». Quando i nostri volti si guardano i «neuroni a specchio» accendono una corrispondenza che diventa condivisione, compartecipazione, compassione ad alta intensità emotiva. In questo momento la vita della figlia ha invaso anche la sua, estraniandola dalle sue esigenze, dai suoi desideri. Si conceda la possibilità di non preoccuparsi per lei, che non ne ha bisogno. Ma di occuparsi di se stessa scegliendo esperienze, interessi, svaghi e piacevolezze che prima non ha potuto assecondare. Nel destino di una madre vi è di accettare che i figli si allontanino diventando diversi da come lei li aveva sognati, amati e allevati.
È il compito più difficile ma anche quello che rende davvero liberi entrambi.