Cara dottoressa,
il problema che le prospetto non riguarda soltanto me, ma coinvolge molte donne della mia età (intorno ai sessanta), che si trovano a gestire contemporaneamente genitori e figli. Un doppio impegno che tante volte si somma, come nel mio caso, a quello del lavoro non ancora concluso. Non le chiedo una soluzione, so che è impossibile, ma una riflessione da condividere con i lettori di questa Stanza. Chissà se pensare insieme potrà aiutarci!
Sposata, due figli grandi e un marito manager super-occupato, sto quasi per raggiungere il pensionamento dopo trent’anni di lavoro come oncologa ospedaliera. Una professione particolarmente impegnativa ma di cui vado fiera perché è stata una scelta appassionata e un’esperienza, benché faticosa, molto gratificante.
Ora però mi sento stanca e avrei bisogno di riposo fisico e di tranquillità psicologica. Purtroppo non posso permettermelo perché mia madre, ottantaseienne e affetta da deficit cognitivo, richiede continua assistenza. Mio fratello, come altri uomini, rifiuta di occuparsene e si limita a offrire un contributo finanziario fingendo di non capire che, in queste circostanze, i soldi non bastano.
Le badanti si susseguono in continuazione perché nostra madre non le sopporta e, senza motivazione, le licenzia quando le pare. Di conseguenza devo sostituirle vagliando ogni volta numerose candidate prima di trovare quella che, in teoria, potrebbe andar bene. Inoltre, come medico, sono chiamata da mia madre per mille motivi: dalla somministrazione dei medicinali a improvvisi stati d’ansia, dall’irritazione delle accudenti ai vuoti di assistenza.
Evidentemente le risorse economiche da sole non bastano per rispondere a necessità che l’invecchiamento della popolazione renderà sempre più urgenti e diffuse. Grazie dell’ascolto. / Mirella
Cara Mirella,
la tua lettera getta un sasso nello stagno per cui il problema si allarga ad anelli concentrici. La vita umana si va sempre più allungando e di conseguenza cresce il numero delle persone anziane esposte al crollo fisico e mentale. Nel contempo è sempre più evidente che l’efficacia della cura è strettamente connessa alla capacità di prendersi cura. Un compito, quello di stabilire una relazione empatica, cioè di compassione e di condivisione con il paziente, che lungi dall’essere riservato ai sanitari, riguarda tutti, uomini e donne.
Innanzitutto non è giusto – nonostante sia spesso così – che tu, come figlia femmina, debba far fronte a tutte le incombenze concrete mentre il figlio maschio se la cava pagando semplicemente una «tassa». Nel tuo caso poi, essendo figlia e medico, ti spetta il duplice incarico di curare e prenderti cura, davvero tanto per una donna che lavora e deve occuparsi, oltre che della madre, del marito e dei figli.
Una risorsa per alleviare il carico delle famiglie è costituito dall’esercito delle badanti, donne provenienti da Paesi lontani per aiutare noi, più abbienti, ad accudire i membri più fragili della società: bambini, vecchi e malati. Si è stabilita così una «comunità femminile» dove la prossimità è quasi sempre strumentale. Generazioni di donne collaborano da anni nella gestione dei nostri problemi familiari senza che intercorra una relazione di conoscenza, di simpatia e solidarietà.
Non possiamo dimenticare inoltre che molti anziani sono affidati a Istituzioni private o pubbliche, le case di riposo, magari efficienti ma spesso poco affettive.
Hai proprio ragione, cara amica, quando affermi che il problema non è solo privato ma anche pubblico. E, aggiungo, neppure soltanto economico e organizzativo, sociale e politico.
È anche questo ma prima di tutto è un problema morale, una questione di responsabilità collettiva. Come scrive Ferruccio Capelli, direttore della Casa della Cultura di Milano: « …La salute non è una questione riducibile ai pur decisivi progressi della scienza e della tecnica medica. Essa non è riducibile neppure all’efficacia degli interventi sul singolo paziente. La salute è il frutto dell’organizzazione complessiva di una società, del suo livello di coesione sociale, in una parola della sua civiltà».(www.casadellacultura.it).