L’Irlanda del Nord è uscita trasformata dal voto di inizio maggio. Ha fatto un passo verso il futuro e uno nel bel mezzo del suo passato, tanto che qualcuno ha parlato di rivoluzione immobile. Questa definizione non rende merito al successo ottenuto dal Sinn Féin, il braccio politico dell’Ira, che per la prima volta diventa il più grande partito dell’Ulster e che porta con sé più del 50% di candidature femminili, oltre che una leadership tutta al femminile. Il Sinn Féin è stato uno dei protagonisti del negoziato che ha portato agli accordi del Venerdì santo nel 1998, che posero fine alla guerra civile tra cattolici e protestanti, con lo scioglimento dell’Ira, il gruppo militare cattolico che per 30 anni aveva combattuto, anche con attacchi terroristici, contro la permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito. Per questo il Sinn Féin è presente anche in Irlanda – anzi, va forte anche in Irlanda e potrebbe ottenere un risultato altrettanto storico alle prossime elezioni che si terranno tra tre anni – e ha questa forma transnazionale che lo ha reso al contempo moderno (le liste transnazionali sono una conquista di queste settimane dell’Ue) e antico, perché rimane una struttura fortemente gerarchica che per molti anni è ruotata attorno al suo leader, Gerry Adams.
Nel 2014 il potere è passato a Mary Lou McDonald, indicata direttamente (e senza possibilità di appello) da Adams, che aveva una storia molto lontana dall’Ira e che ha potuto così iniziare a emanciparsi dal passato. L’esito di questo viaggio, pieno di delusioni e di intoppi, è arrivato all’ultimo voto, con la vittoria sul Dup, il Partito democratico unionista, e la possibilità di nominare ora il primo ministro, cioè la leader locale del Sinn Féin Michelle O’Neill. Soltanto che il Dup non vuole. Nella resistenza del Dup, il partito che ha espresso il primo ministro negli ultimi 15 anni grazie alla sua maggioranza relativa, c’è tutto il significato della rivoluzione immobile dell’Irlanda del Nord. Il sistema uscito dagli accordi di pace prevede una divisione esatta del potere: il partito che vince sceglie il premier, il secondo sceglie il vicepremier e poi si deve governare insieme. A vivere insieme, insomma, poi si imparerà ad andare d’accordo. Soltanto che ora che il Dup deve accettare il primato del Sinn Féin non vuole farlo, pure se nei fatti non cambia molto nell’esercizio del potere. Così il rischio è che, senza accordo, si torni a votare nei prossimi sei mesi e il Dup naturalmente conta di vincere.
C’è poi la Brexit, o meglio il Protocollo nordirlandese che ha permesso di portare a termine l’accordo sul divorzio tra Regno Unito e Ue. Come si sa, il confine dell’Irlanda del Nord con l’Irlanda è da sempre il punto in cui tutto il costrutto fantasioso della Brexit crolla, in quanto è l’unico confine fisico del Regno Unito. Bisognerebbe mettere quindi dogane e controlli, ma anche i «brexiteer» più convinti sanno che il confine controllato sarebbe un disastro e quindi hanno acconsentito a firmare questo protocollo che di fatto mantiene l’Irlanda del Nord nel mercato unico europeo e nell’Unione doganale europea. Detto altrimenti: l’Irlanda del Nord è più come l’Irlanda che come il Regno Unito. E infatti il Dup, che pure è alleato con il premier britannico Boris Johnson che ha firmato il protocollo, ha fatto cadere il governo dell’Ulster per via del protocollo e adesso si rifiuta di lavorare con un governo guidato da un partito nazionalista che sogna l’unità tra le due Irlande.
Così il sistema si blocca. Ma quando si parla di rivoluzione immobile proprio a questo si fa riferimento: il sistema è disegnato per rimanere bloccato perché soltanto così può funzionare. Sembra una contraddizione ma è la ragione per cui si è ottenuta e conservata la pace dagli accordi del Venerdì Santo a oggi, cioè dal 1998. Ed è la ragione per cui in Irlanda del Nord la scelta è sempre tra il compromesso o il caos. Quella è la terra in cui la violenza non è un ricordo remoto, in cui le divisioni settarie sono condannate da tutti ma sono allo stesso tempo il principio su cui si fonda il modello di potere, in cui i nazionalisti vincono ma non possono ambire all’unione delle due Irlande e dove gli unionisti perdono ma non per questo sono meno potenti.
La stanchezza nei confronti di questo stallo fatto a sistema perché unico garante della pace si vede nell’ascesa dell’Alliance Party, un partito liberale, aconfessionale, centrista nato negli anni Settanta proprio per provare a superare il settarismo. All’ultima elezione l’Alliance Party è arrivato terzo, per la prima volta ha un consenso solido, ed è l’unica alternativa che l’Irlanda del Nord si è concessa per uscire dalla sua rivoluzione immobile.