Non passa giorno senza la sua ricerca. Ci si sta abituando a una razione quotidiana di statistiche, graduatorie, valutazioni che dovrebbero contribuire a vederci chiaro. Invece, succede l’opposto. L’eccesso di messaggi ne sminuisce l’impatto e crea un circolo vizioso che giustifica spontanee reazioni di rifiuto e di scetticismo. E, per finire, i risultati e le graduatorie di indagini persino ambiziose, frutto del lavoro di specialisti, accreditati da università e istituzioni autorevoli, perdono credibilità, si prestano addirittura al ridicolo. L’avallo di Harvard o della nostra Supsi non basta per salvare una ricerca, ormai estesa a qualsiasi ambito, dal pericolo della banalità e della contraddizione. Sembra, infatti, di assistere a una sorta di gioco, una scommessa sul «fa bene o fa male» che, da un’indagine all’altra, rovescia le conclusioni. Dal caffè al cioccolato, dal vino al sale, dagli integratori ai surgelati, dalla carne rossa alla farina bianca, si sprecano gli esempi di cibi passati dalla condanna all’assoluzione.
Ma la lente della ricerca incombe ormai su ogni ambito, anche quelli meno traducibili in cifre. Ecco che, la settimana scorsa, una squadra di studiosi presso l’università di Warwick (Regno Unito), dopo approfondite osservazioni, è giunta alla conclusione che «dormire bene contribuisce al benessere fisico e psicologico». Bella scoperta, verrebbe da dire, ma non è il caso di ironizzare. La notizia trova una conferma ufficiale su «Sleep», rivista che affronta il tema del sonno, dal profilo scientifico, precisando che «una buona dormita è come vincere al lotto», senza peraltro dimostrarlo. Mentre, spostandosi su un piano socio-psicologico, il World Happiness Report, patrocinato dall’ONU, in occasione della giornata mondiale della felicità, (sì, esiste anche quella) ha pubblicato l’elenco dei paesi da considerare, statisticamente, i più felici. Fra i quali, figuriamo anche noi, in quarta posizione, dopo Norvegia, Islanda e Danimarca. Un attestato da prendere con moderata soddisfazione, consapevoli che, nel nostro paese di certo ordinato e benestante, la felicità non sembra di casa. Basta guardarsi attorno. Le facce imbronciate dei nostri concittadini, e ticinesi in prima fila, trasmettono ben altri sentimenti.
Insomma, credere o non credere ai verdetti delle ricerche? Al di là dei limiti di risultati opinabili, sta di fatto che, qui, ci si trova alle prese con un fenomeno scientifico, culturale e professionale in continua espansione. Si allarga la sfera delle cose e dei comportamenti misurabili e cresce la schiera degli addetti ai lavori. Il ricercatore e la ricercatrice è diventato un iter professionale attraente, che comporta un certo prestigio, ed è persino di moda. Tant’è vero che, fra le parole maggiormente usate sul piano mondiale, lo scorso anno, figuravano proprio ricerca e ricercatore.
Ma, oltre che una promettente occasione di lavoro, la ricerca è diventato un hobby che, in Svizzera, si dirige verso la genealogia familiare. Una scelta, a prima vista insolita, non campata in aria però. Coincide, infatti, con la decantata riscoperta delle proprie radici e serve da antidoto alla globalizzazione e alla cultura multietnica. Il «Sonntagsblick», che questi umori li fiuta, dedicava, domenica scorsa, un servizio a questa «Ricerca dei propri avi su sponde infinite». Si tratta, infatti, di un viaggio interminabile che può riservare sorprese e persino delusioni. Si parte animati dalla curiosità e, non da ultimo dall’affetto e dall’orgoglio nei confronti di nonni, bisnonni, trisavoli, e via numerando, uomini e donne che, nell’immaginario collettivo, appartenevano a un passato virtuoso. Grandi fatiche e magari grandi talenti, come nel caso dei ticinesi, artigiani, architetti, scultori che lasciarono tracce gloriose in mezz’Europa. Basta fare il nome del Borromini. Senonché, frugando negli archivi e nei registri parrocchiali, si possono ritrovare figure di antenati non precisamente esemplari. Vagabondi, ladruncoli, perdigiorno, insomma la pecora nera, presente anche nelle famiglie d’antan. Intanto, anche questo hobby ha creato un fiorente settore commerciale. Con 2000 franchi è possibile ottenere il proprio albero genealogico con tanto di stemma.