La resa dei conti si avvicina

/ 14.02.2022
di Peter Schiesser

La morsa attorno all’Ucraina è completa. La Russia ha ultimato il più grande dispiegamento di forze militari dal Dopoguerra. Si parla attualmente di 140 mila soldati, in totale gli Stati Uniti stimano che saranno dispiegati quasi 100 battaglioni, cioè il 60 per cento delle truppe da combattimento russe. Dalle loro basi le truppe si stanno avvicinando alla frontiera, con centinaia di carri armati, caccia militari, missili terra aria. Tutto il confine settentrionale (anche con la Bielorussia) e orientale ucraino è minacciato, con l’arrivo nel Mar Nero di sei navi da guerra della flotta russa del nord e del Baltico, che si congiungono con la flotta russa del Mar Nero, la minaccia si estende alle regioni costiere, da Mariupol fino ad Odessa. Il 10 febbraio russi e bielorussi hanno cominciato manovre militari previste fino al 20 febbraio, l’Ucraina ha risposto con manovre militari della stessa durata. Ancora nessuno sa che cosa e se il presidente russo Putin abbia deciso di invadere l’Ucraina, si pensa che rispetterà la tregua dei giochi olimpici del suo alleato cinese Xi Jinping. Dopodiché la tensione internazionale sarà alle stelle. Basterà una scintilla per scatenare una guerra. E se invasione ci sarà, sarà un conflitto che farà impallidire la guerra nei Balcani dei primi anni Novanta che tanto scosse l’Europa. Putin non potrà tenere a lungo metà del suo esercito in assetto di guerra in attesa degli eventi, quindi o scatenerà la forza militare, o indietreggerà.

La propaganda, in situazioni simili, rende facile addossare all’avversario la responsabilità di aver sparato il primo colpo. Mosca afferma tuttora che si tratta di normali manovre militari e affibbia all’Occidente l’intenzione di scatenare una guerra. Questo gli permette di mantenere l’opzione di un’invasione come di fare retromarcia annunciando «manovre concluse». Ma chiedendo agli Stati Uniti di ritirare le truppe della Nato dai paesi che facevano parte del Patto di Varsavia (Polonia, Paesi Baltici, Romania e altri) Putin ha alzato la posta ad un livello così alto che non può fare marcia indietro facilmente. Non sappiamo come, ma si dimostra fermamente intenzionato a imporre un nuovo «ordine di sicurezza» in Europa, ossia a vedere riconosciuta alla Russia la targa di potenza mondiale, con la propria sfera di influenza, con degli Stati cuscinetto ai suoi confini. Nel contesto della crescente concorrenza fra Stati Uniti e Cina, per lui è il momento giusto di realizzare il sogno di recuperare una statura imperiale. L’Occidente è sulla difensiva e cerca perlomeno di non mostrare crepe nella risposta alla Russia (la dipendenza dal gas russo rende alcuni Stati europei più tiepidi).

Di imperiale, l’economia russa ha ben poco: un apparato industriale antiquato, una popolazione in calo, una vita economica stretta nella morsa delle oligarchie. Non può competere con la Cina e gli Stati Uniti. Ma in questi anni Putin ha trasformato l’esercito russo: non è più quell’ammasso scoordinato di truppe e armi che nel 2008, durante l’invasione della Georgia, è costato più vite per fuoco amico che per fuoco nemico (le truppe di terra non erano in collegamento con l’aviazione, che bombardava quindi anche i propri soldati). Ha creato un esercito professionista, ben pagato e attrezzato, lo ha ammodernato (oltre le previsioni degli Stati Uniti) e nelle varie guerre in cui in questi anni lo ha impegnato (Ucraina e soprattutto Siria) i comandanti e i soldati hanno guadagnato un’esperienza bellica decisiva. Putin ha capito che non basta avere un arsenale nucleare deterrente per imporre una geopolitica aggressiva, serve, come un tempo, un ottimo esercito.

Ma anche senza invasione, il problema di fondo persiste: il rapporto fra russi e ucraini resta squilibrato. La Russia non riconosce veramente la sovranità dell’Ucraina. Cerca di mitizzare la storia comune, di popoli fratelli, ma si è sempre comportata da «fratello maggiore». In cambio dell’assegnazione di tutte le armi nucleari alla Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, un memorandum firmato da entrambi i paesi doveva garantire all’Ucraina il riconoscimento della sovranità e dell’integrità territoriale. Invece, nel 2014 i russi hanno occupato la Crimea e fomentato la secessione di alcune province orientali, con il risultato di spingere gli ucraini ancor di più nelle braccia dell’Occidente.