La recente adunata dei leader dei partiti sovranisti/populisti europei, ospitati a Milano in chiusura della campagna per le elezioni europee dal Ministro degli Interni del Paese a Sud delle Alpi, ha segnato una significativa svolta – o forse l’outing di tendenze ormai consolidate – in quella che in antropologia è nota come «religione popolare». Quello di «religione popolare» è concetto complesso, dai confini spesso lasciati intenzionalmente vaghi, «liquido» nel senso che Zygmunt Bauman dava al termine. Nella tradizione accademica italiana corrisponde a quell’insieme di pratiche, credenze e relativi comportamenti che riguardano il rapporto e la comunicazione con il «sovrannaturale».
Ciò che ha distinto fino ad ora la religiosità popolare da quella dominante, controllata ed amministrata dalla gerarchia ufficiale, è stata la relativa autonomia con la quale «il popolo» ha selezionato ed implementato le pratiche devozionali, poiché di espressioni religiose eminentemente «pratiche» e solo in seconda battuta «teologico-dogmatiche» si tratta. Quell’autonomia si è espressa per secoli in forte dialettica coi dettami della religione dominante: con questi certo «il popolo» si interfacciava, per poi peraltro distaccarsene e partire per la tangente «sul filo dell’eresia», per così dire, qualora la gerarchia, peraltro sempre incline a politiche culturali del bastone e della carota, decidesse di preferire la scomunica al compromesso.
Da questo equilibrio precario, marcato da numerosi cambi di fronte e di fortune in una guerra mai dichiarata ma sempre guerreggiata, sono nati i culti di certi santi «popolari» e le devozioni di Madonne «apparse» in condizioni meno che chiare (vedi lo stallo sull’omologazione del fenomeno Medjugorie), così come sono emersi ordini religiosi più cari al popolo che non alla gerarchia (chi fu il Cardinale che fulminò «ogni nuovo ordine religioso è una eresia mancata»?). Ma la cifra più specifica, il marchio identitario che delle espressioni della religiosità popolare garantisce il DOCG, è la relativa assenza di riferimenti a Dio sull’intera gamma delle espressioni e delle pratiche religiose. «Questi contadini ignoranti adorano Santi e Madonne ma non hanno mai sentito parlare di Gesù Cristo, di Dio Padre e dello Spirito Santo»: così fulminavano a sua volta gli Atti di una Visita Pastorale Vescovile nella Sicilia interiore del tardo XVIII secolo.
E dunque agli astrusi distinguo teologici del Tre in Uno & Co., «il popolo» ha da sempre preferito la continuità coi culti delle acque e delle caverne della preistoria pagana e le Madonne eredi delle Grandi Madri neolitiche laddove – permettetemi parola d’altropologo – all’ortodossia si preferiva l’ortoprassi, sulla base del principio: «Non mi importa se sia vero, basta che funzioni». E così a Milano: si è brandito il rosario, un rosario mediatico/televisivo a grani grossi (se ne attende una futura versione in giallo fluo); si è baciato un crocifisso alzando occhi e mani al cielo proprio come fanno i calciatori (non a caso «cattolici» sudamericani) additando la fonte ultima dell’assist da gol e si sono recitate le litanie dei Santi Protettori d’Europa (che nessun celebrante postconciliare, laddove possa evitarlo, più recita perché è un po’… oso: «primitivo») impetrando in sostanza la protezione degli dei contro la peste e le carestie della nostra epoca:– contro gli attacchi dei nuovi barbari alla Nazione, all’Identità e alla Dignità, – contro l’Immigrante che ci snatura e ci deruba,– contro la Globalizzazione fonte di tutti i mali – e ognuno ci metta pure in cuor suo il resto delle paure che lo riguardano e, nel caso, sarà rimborsato.Il rosario cristiano fu copiato dai crociati dal taspih musulmano attorno al XIII secolo.
A loro volta i musulmani avevano copiato il taspih dal japamala indù nel VII secolo e tutte e tre le tradizioni lo usano per ripetere ad infinitum il proprio mantra che (dopo il danno le beffe) si vuole esclusivo di ciascuna confessione. Peraltro a Milano si è consumato di più dell’epifania popolare del simbolo religioso simbolo a sua volta della globalizzazione: dal punto di vista della sostanza si è inaugurata la variante popolare europea di una religione che fa della paura e della corrispondente necessità di protezione da parte dello Stato Sovrano la cifra distintiva. Una religiosità faidatè, scelta da ciascuno sugli scaffali di un megastore del sacro globale dove già hanno avuto un successo incoraggiante per i novelli guru le varianti borghesi a reddito medio-alto di quelle «religioni» che si vogliono credere secondo, bensintenda, la pasticciosa vulgata Occidentale «senza Dio e senza Dogma» degli Osho, dei Buddha e dei Sai Baba «e via via tutti gli altri», come chiudono sui gregari i commentatori del Giro d’Italia all’arrivo delle tappe in volata.Ora anche il popolo sovrano e proletario ha la sua Religione senza Dio. «La pacchia è finita»: non ci sono più scuse per non credere e non ubbidire.