Gentile professoressa,
ho seguito con molto interesse il dibattito che ha preso spunto sull’uso indiscriminato del «tu» per passare poi a un’analisi della società attuale incapace di riconoscere dislivelli di autorità e di responsabilità.
Le sue osservazioni mi sono sembrate lampanti nel momento in cui mia figlia Elisa, di 14 anni, mi ha urlato dalla camera da letto: «mamma, dove diavolo hai messo il mio impermeabile? Come al solito l’hai preso tu!». È vero, l’avevo preso io perché siamo solite scambiare gli abiti. Abbiamo la stessa taglia e ci viene naturale questa reciprocità. Ma, se mi volto indietro, sarebbe stato impensabile con mia mamma: allora lei vestiva da signora, io da bambina.
È chiaro che siamo tutti responsabili, non soltanto i ragazzi, di questo appiattimento. Che, a dir la verità, non è senza conseguenze. Ho cresciuto Elisa da sola dopo un precoce divorzio, e ci vogliamo molto bene ma ora, con l’adolescenza, avrei bisogno di contare di più, invece lei mi tratta come una coetanea, non come una mamma. Ad esempio, quando va in campeggio non mi telefona, quando esce la sera con i suoi amici, per ora solo compagni di scuola, torna quando torna. Che cosa devo fare? Mi consigli lei. / Olga
Cara Olga,
a questo punto, a gioco iniziato, è difficile cambiare le carte in tavola. Nella famiglia affettiva, fondata non sul dovere ma sui sentimenti, le regole non possono essere imposte ma vanno contrattate. Se Elisa non vuole comprendere l’ansia che provi quando non sai dove, con chi e come si trova, dille chiaramente che resterà a casa. La tua serenità conta quanto la sua autonomia.
Capisco che è difficile diventare «cattiva» quando sei stata considerata l’amica buona che dice sempre «sì» ma, credimi, appena comincerà la stagione degli innamoramenti Elisa avrà bisogno, anche se non lo ammetterà mai, di essere contenuta, di trovare un limite alla onnipotenza dei suoi desideri. Le regole non sono soltanto ostacoli, spesso costituiscono un contenimento protettivo, rassicurante.
Nelle ultime generazioni si è costituita, tra madri e figlie, un’alleanza senza precedenti. L’indebolimento della figura paterna, spesso fragile e/o assente, ha provocato un rafforzamento dell’asse femminile che è diventata, contrariamente a quanto avveniva nella famiglia patriarcale, l’architrave della famiglia.
Transitano tra le due non solo borse, scarpe e creme di bellezza, ma confidenze, consigli, emozioni e sentimenti. È sicuramente una conquista positiva rispetto all’invidia e alla gelosia che, come mostrano le favole di Biancaneve e Cenerentola, contrapponevano matrigne e figliastre. Ma nessuna relazione è mai perfetta, occorre sempre moderarne le carenze, gli eccessi, monitorarla, valutarla da diversi punti di vista.
È interessante che compaia, in una lettera basata sul presente, la figura della mamma della mamma, rappresentante di un modo diverso, ormai dimenticato di vivere i rapporti reciproci. Ma nulla è mai superato per sempre e permane nell’inconscio collettivo una certa nostalgia per la figura materna tradizionale. Pareva vecchia, stanca, autoritaria e noiosa ma si preoccupava per le occhiaie, il pallore, l’inappetenza, i malumori della figlia. Pronta a ricevere i compagni di scuola con una torta appena sfornata, si ritirava poi con discrezione nella sua camera.
Ma, si sa, non ci sono più le mamme di una volta né le figlie di un tempo. Viviamo, com’è ormai riconosciuto, nella «società liquida» ma questo non ci autorizza a lasciarci galleggiare o a girare intorno rimanendo sempre al punto di partenza. Meglio imparare a nuotare con un certo stile per raggiungere i traguardi che ci siamo prefisse. Che, per la figlia, sono l’autonomia e l’indipendenza e, per la madre, la capacità di accettare il distacco e l’allontanamento della sua creatura senza sospendere la disponibilità e la responsabilità.
Comunque la loro distanza non sarà mai fissata una volta per tutte. A seconda delle stagioni della vita e delle circostanze occorrerà prendere le misure sino a raggiungere, nella fase finale, il rovesciamento dei rapporti per cui la figlia diventa la madre e la madre la figlia. Proprio perché è così vitale, il «cordone rosso dell’amore» non si lascia standardizzare ma pulsa con i ritmi irripetibili del nostro cuore.