I dati sull’evoluzione dell’occupazione nell’ultimo trimestre del 2020 sono stati accolti con sorpresa da diversi commentatori ticinesi. Questo perché di fronte a una diminuzione dell’occupazione totale pari al 4,4% (rispetto al quarto trimestre del 2019) si è registrato un aumento dei frontalieri occupati di circa 800 unità, ossia di circa l’1%, in netto contrasto con l’obiettivo della politica «prima i nostri!».
Chiamati a spiegare questa evidente contraddizione, i responsabili dell’amministrazione cantonale hanno soprattutto insistito sul fatto che i due dati – quello per l’occupazione totale e quello per i frontalieri – provengono da due statistiche diverse e quindi, di per sé, non dovrebbero essere confrontati. E noi potremmo essere d’accordo con loro. Solo che, in Ticino, e per fortuna solo in Ticino per il momento, vige una norma costituzionale che obbliga i datori di lavoro a privilegiare nelle assunzioni la manodopera locale e quindi il confronto – indipendentemente dalla natura e dalla qualità delle fonti statistiche – si impone da sé. Per essere più precisi la prima reazione quando la congiuntura non tira e l’occupazione diminuisce, è quella di pensare che, in forza del principio «prima i nostri!», prima dovrebbero diminuire i frontalieri e poi i domiciliati nel Cantone.
Così la pensano in molti e tra di essi la maggioranza dei commentatori dei nostri media. Purtroppo, però, sul mercato del lavoro ticinese le cose sono più complicate perché la popolazione attiva residente è in diminuzione da almeno 4 anni cioè, guarda caso, proprio da quando è stato introdotto il principio «prima i nostri!». Come si sa, la votazione su questo principio risale al settembre 2016. Allora il mercato ticinese del lavoro impiegava 115’600 svizzeri, 52’900 stranieri domiciliati e 65’000 frontalieri. Da allora e fino al 2019 l’occupazione totale in Ticino è aumentata ma solo grazie all’aumento del contingente di lavoratori frontalieri. Nel 2019, infatti, in Ticino lavoravano 112’000 svizzeri, 52’600 stranieri domiciliati e 69’300 frontalieri. Complice la pandemia, l’occupazione totale nel 2020 è diminuita in Ticino del 4,4%, ossia di qualcosa come 10’300 posti (dati del quarto trimestre). I frontalieri sarebbero aumentati invece di circa 800 unità. Questo significa che l’effettivo formato dai lavoratori svizzeri e dai lavoratori stranieri domiciliati sarebbe diminuito di circa 11’100 unità. Per fortuna esiste il principio «prima i nostri!» commenterà con sarcasmo qualcuno.
Certo è che nella legislazione ticinese degli ultimi 50 anni esistono pochi altri esempi di grida spagnole, ossia di leggi non applicate – o piuttosto non applicabili – come quella che protegge l’occupazione locale. Perché sosteniamo che questo principio è inapplicabile nelle condizioni attuali del mercato del lavoro ticinese? Supponendo che i dati da noi utilizzati siano attendibili (supposizione che per l’esistenza di diverse fonti potrebbe rivelarsi sbagliata), possiamo pensare che la diversa evoluzione dei contingenti di lavoratori domiciliati nel Cantone (svizzeri e stranieri) e dei frontalieri sia dovuta al fatto che i primi possiedono un tasso di attività relativamente alto, sono influenzati dal fenomeno dell’invecchiamento e possiedono un saldo migratorio negativo.
Per effetto di queste tre concause è praticamente impossibile aumentare ulteriormente il loro livello di occupazione. In effetti, come si è già ricordato, l’offerta di lavoro locale è, da qualche anno, in diminuzione. Il fenomeno è relativamente nuovo e ancora mal conosciuto. Non è possibile giudicare, attualmente, se sia destinato a cambiare di segno nel medio termine. Aspettiamo con interesse i risultati dei chiarimenti promessi dall’Amministrazione cantonale. È infatti importante capire bene perché il principio «prima i nostri!» non funziona. Altrimenti questa politica rischia di diventare una farsa.
La politica del «prima i nostri!» non funziona
/ 08.03.2021
di Angelo Rossi
di Angelo Rossi