La polemica sul valore aggiunto dell’agricoltura

/ 27.02.2017
di Angelo Rossi

Non sto dicendo una cosa nuova quando affermo che l’agricoltura svizzera è uno dei settori più protetti della nostra economia. Né penso che sia molto originale quello che sto per aggiungere e cioè che nel parlamento svizzero l’agricoltura possiede una lobby (ai miei tempi si sarebbe parlato di gruppo di pressione) che, per importanza, va molto al di là di quello che l’agricoltura può rappresentare per l’economia del nostro paese. Fatte queste constatazioni si capisce perché gli agricoltori riescono ad assicurarsi, dalla Confederazione, la protezione di cui godono. Una strategia di lungo termine, avviata nel primo decennio di questo secolo, con la quale si cercava di riportare il settore agricolo entro le leggi del libero mercato, non ha fatto molti passi in avanti. Come sembrerebbe provare il caso della produzione lattiera è invece probabile che, con la svolta protezionistica attualmente in auge, sia successo il contrario.

Con queste osservazioni preliminari volevo semplicemente mettere in evidenza che la battaglia tra sostenitori di una liberalizzazione della produzione agricola e sostenitori del protezionismo è tutt’ora in pieno svolgimento. Non deve quindi sorprendere che associazioni di categoria, gruppi di studio e gruppi di sostegno di vario orientamento, siano al lavoro per produrre documentazione in favore delle tesi dell’uno o dell’altro dei partiti che si fronteggiano e continueranno a fronteggiarsi sulla politica agricola nazionale. A questa categoria di documenti appartiene, secondo me, anche lo studio, pubblicato di recente, da «Vision Landwirtschaft», un think tank che si schiera per la liberalizzazione della produzione, nel quale si mettono in dubbio i dati concernenti il valore aggiunto del settore agricolo svizzero.

Varrà la pena di ricordare intanto che il valore aggiunto misura il contributo che una determinata attività di produzione dà all’economia del paese. Può essere definito, in modo semplice, come la differenza tra il valore della produzione considerata e il valore dei fattori che sono stati utilizzati nella stessa. O, definito in parole ancora più semplici, il valore aggiunto misura l’importanza economica di una determinata attività di produzione. Per i fautori del protezionismo agricolo, l’intervento dello Stato a favore dell’agricoltura ha un senso anche perché il valore aggiunto annuale di questo settore è pari a 2.2 miliardi di franchi. Il valore aggiunto è quindi un argomento di peso nell’elenco dei motivi a favore del protezionismo agricolo. Per «Vision Landwirtschaft» questa stima è falsa perché non tiene conto della protezione doganale assicurata ai prodotti della nostra agricoltura.  Il think tank liberista stima che questa protezione sia dell’ordine di almeno 3.2 miliardi. Se togliamo ai 2.2 miliardi di valore aggiunto i 3.2 miliardi che costa la protezione doganale dell’agricoltura otteniamo un valore negativo pari a 1 miliardo di franchi. In altre parole, il consumatore svizzero paga 3.2 miliardi di franchi alla nostra agricoltura per il privilegio di consumare la sua produzione che, in termini di valore aggiunto è solamente di 2.2 miliardi.

È probabile che la pubblicazione di questi dati avvii ora una polemica sulla bontà dell’una o dell’altra stima. Per chi scrive è abbastanza evidente che ambedue le stime sono fondate. Sebbene il settore agricolo non sia molto importante, non si può negare che le 50’000 aziende che ancora esistono producano qualcosa. Altrimenti andrebbero a farsi benedire tutte le strategie dei grandi distributori di beni alimentari del tipo «dalla regione per la regione», o del tipo «fornitura di prodotti agricoli a chilometro zero». Di primo acchito mi pare addirittura che la stima di 2.2 miliardi potrebbe sottovalutare il contributo effettivo dell’agricoltura al prodotto nazionale lordo. Ugualmente vera è la considerazione che fanno i ricercatori di «Vision Landwirtschaft», ossia che la protezione doganale della nostra agricoltura costa al consumatore svizzero diversi miliardi che potrebbero essere risparmiati se si liberalizzassero le importazioni di prodotti agricoli.

La soluzione del dilemma non consiste però nel togliere completamente la protezione doganale perché altrimenti buona parte dell’agricoltura svizzera andrebbe a catafascio provocando una serie di effetti collaterali negativi, specie nelle zone agricole più periferiche (dall’aumento della superficie del bosco, all’erosione e allo spopolamento). Come sempre è il caso, in un regime democratico, la soluzione può essere solo un compromesso, che sarà necessario cercare, attivando trattative tra coloro che vogliono liberalizzare ulteriormente l’attività agricola e coloro che invece intendono proteggerla anche se, economicamente parlando (ossia non tenendo conto dei benefici sociali generati dalla stessa), il suo contributo è sicuramente di poco peso.