Cara Silvia,
ripensando alla mia vita, non mi capisco, non mi sono mai capita e mi sento perseguitata dal destino. Donde una domanda di aiuto. Sin dal primo anno delle Superiori mi sono trovata, del tutto impreparata perché ero ancora immatura, a essere la bella della scuola, la più desiderata, la più corteggiata. Mi sono sentita lusingata e ho accettato la parte che i maschi mi avevano assegnato volando, come una farfallina, dall’uno all’altro. Col risultato di rendermi antipatica alle compagne che mi hanno fatto il vuoto intorno. Avrei tanto desiderato far parte del loro gruppo, ridacchiare insieme e ritrovarmi con l’amica del cuore per studiare e spettegolare in lunghe telefonate. Ma come fare se l’oggetto delle risatine e dei pettegolezzi ero proprio io? In realtà amavo solo una persona: il professore di italiano, un docente ruvido e integerrimo che non deve essersi mai accorto di niente. Giunta al diploma, a diciott’anni, spinta da mia mamma e da mia nonna, donne semplici, pratiche e volitive, mi sono fidanzata e poi sposata col più ricco della scuola, un ragazzo gracile, insignificante e puntiglioso, però figlio di una grande avvocato. Da quel momento non mi è mancato niente, salvo l’amore.
Non abbiamo avuto figli e, per passare il tempo, mi sono ritagliata il compito della padrona di casa nello studio di mio suocero mentre mio marito diventava docente di chimica all’università.
In quegli anni ho avuto una lunga relazione con un uomo sposato con cui intrattenevo frequenti incontri clandestini. Alla sua morte ho ripetuto la storia, poi finita, con un altro uomo sposato, dotato di moglie gelosa e figli piccoli. Perché non riesco a vivere una relazione vera, aperta e sincera, con una persona che sia soltanto mia, perché non posso, come tutte, formare una coppia senza la presenza, latente o presente, di una rivale? / Nora
Cara Nora,
torniamo alla prima riga, dove dichiari di sentirti vittima del destino. In realtà, l’impulso che ti fa scegliere soltanto partner impossibili, è la conseguenza della tua storia.
Nessuno si conosce sino in fondo e, più o meno, siamo tutti condizionati dal passato familiare e personale. Ma il tuo è particolarmente difficile. Durante l’adolescenza, essere ritenuta la più bella della scuola non è una situazione facile da gestire. Come nel tuo caso, quel privilegio desta invidia e gelosia, isola e impedisce di costruire con calma e riservatezza la propria identità. Per giunta i consigli, o le ingiunzioni, delle donne di casa, nonna e mamma, non ti hanno certo aiutata. Sposata senza convinzione, ti sei comportata, come Madame Bovary, concentrando il desiderio su oggetti d’amore impossibili. Non, nonostante fossero impossibili, ma proprio perché tali. Il piacere che ne hai derivato mi sembra consistere soprattutto nella rivalsa nei confronti delle mogli, rappresentanti le compagne di scuola che ti avevano, un tempo, respinta e isolata.
Ma, anche se scoperto, il gioco non è finito. Il disincanto non basta per cambiare, per assumere un atteggiamento diverso nei confronti di te stessa e degli altri. Occorre affrontare le emozioni negative che ancora ti avvincono, riconoscerle e dipanarle perché spesso sono confuse tra di loro. L’amore, anche il più luminoso, porta con sé l’ombra dell’odio, l’invidia sottende l’ammirazione, il successo immeritato suscita un senso di colpa. L’adulterio non soddisfa mai completamente. Suppongo che in molte occasioni, soprattutto quelle festive, avrai sofferto sapendo che i tuoi amanti le trascorrevano in famiglia mentre a te restava soltanto la compagnia dell’insipido coniuge.
Quello che puoi fare per non ripeterti è tornare alla casella di partenza del «giro dell’oca» della vita e affrontare il nodo irrisolto del tuo matrimonio. Finché non riesci a far chiarezza con tuo marito, a comprendere che cosa provi per lui, come si è evoluta negli anni la vostra relazione, se siete rimasti insieme ci sarà un motivo, resterai incastrata in una «coazione a ripetere» che non si chiama «destino» ma «nevrosi».