La pienezza del senso del sapere

/ 02.08.2021
di Lina Bertola

Potrebbe apparire una scelta inopportuna quella di parlare di scuola in piena estate. Perché mai evocare spazi vuoti, resi silenziosi dall’assenza di allievi e di maestri che la rendono una realtà viva? Perché non concederle un salutare momento di oblio dedicandosi a realtà più presenti in queste calde giornate?

A questi comprensibili interrogativi rispondo così: scuola, maestro e allievo, anche lontano dalla loro concreta presenza fisica, restano presenze simboliche, realtà che continuano ad abitare il nostro vissuto. La scuola è un luogo simbolico, un’atmosfera che ci accompagna in molte stagioni della vita e in cui si esprimono tanti frammenti del racconto di noi stessi. Certo, la scuola a cui pensiamo è innanzitutto quella che racconta il nostro diventare grandi, ma non solo. Si impara anche a guidare o a fare buone torte, e soprattutto si impara ad affrontare difficoltà e sofferenze, e tanto si impara da emozioni che ci sorprendono. Scuola rimane dunque un simbolo che custodisce molti risvolti del nostro prenderci cura della vita, che nutre il desiderio di diventare ciò che siamo e quello di provare a rendere la nostra vita un’opera d’arte.

Anche maestro e allievo sono figure che abitano questa intima atmosfera; sono figure che vivono in noi nella reciprocità di ogni relazione, quando il nostro mondo interiore rimane aperto, in attesa, proprio come quello dei bambini di prima elementare. Il maestro e allievo che siamo svelano quel divenire della vita che sempre è trasformazione ed espansione. Raccontano di intrecci esistenziali in continuo movimento che alimentano l’incontro con l’altro, quando accolgo la sua voce e il suo sguardo e gli offro le mie verità, sentimenti, parole, gesti.

Anche quando le scuole sono chiuse e magari diventano l’ultimo dei nostri pensieri, ecco che in un altrove dell’intimità, il maestro e l’allievo continuano a farci sperimentare un bel modo di stare al mondo: una possibilità di esserci che aiuta tutti a fiorire.

Questi significati simbolici, che ci conducono oltre la concretezza del mondo, che spingono la nostra sensibilità oltre i dati nudi e crudi, sono la nostra realtà. Sono il nostro ambiente di vita.

Il simbolo, lo dice la parola, mette insieme, unisce, lega il visibile e l’invisibile. E crea legami, proprio come il rito antico in cui un oggetto veniva spezzato in due e ciascuna delle due parti separate rimaneva un segno di riconoscimento tra persone lontane.

Non viviamo a contatto diretto con la realtà ma con i significati che le attribuiamo. Lo aveva capito molto bene il filosofo Ernst Cassirer. Più che con il mondo fisico, con le cose del mondo, l’uomo ha a che fare con sé stesso. Plasma la realtà con pensieri e con emozioni suscitate dall’immaginazione.

Viviamo tra le cose del mondo, certo, ma sempre restiamo a colloquio con noi stessi, con i significati con cui plasmiamo il nostro mondo e con cui disegniamo il senso della vita. E ciò accade anche quando si tratta di comprendere, nei suoi dettagli, il senso della scuola.

Un esempio? Il continuo impoverimento e il progressivo abbandono degli studi classici è una situazione di cui si discute molto di questi tempi. Preoccupano, a ragione, certe scelte politico-culturali, a cominciare da quelle di prestigiose università americane.

Questo spirito del tempo tocca da vicino anche la nostra realtà. Nella formazione liceale si è rilevata, negli ultimi anni, una vistosa perdita di interesse per lo studio di greco e latino con un calo drastico delle iscrizioni all’indirizzo di lingue antiche.

Lungi da me il desiderio di esprimere sentimenti nostalgici per valori umani e umanistici che il nostro clima culturale non sa più riconoscere. Le scelte dei giovani vi si adeguano, e non potrebbe essere altrimenti. Alla nostalgia preferisco sentimenti di apertura sul futuro. E allora penso alle istituzioni e alle loro scelte politiche. In particolare, a quella di non istituire il corso di lingue antiche se non ci sono almeno cinque iscritti. Se sono solo tre o quattro, gli studenti dovranno spostarsi in un’altra sede o rinunciarvi. Ragioni economiche, ci sta.

Ma il Liceo conserva il nome della scuola di Aristotele in cui il Maestro insegnava tutte le discipline, dalla biologia alla retorica, dalla fisica alla politica, in una pienezza del senso del sapere. Una pienezza di atmosfere che dovremmo poter continuare a respirare nei corridoi, anche senza mai entrare in un’aula di greco. Ma anche senza rinunciare alla presenza simbolica di un mondo che parla le lingue in cui abbiamo incominciato a pensare.