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La paura della convivenza

/ 04.06.2018
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia, 
dopo 42 anni di vita insieme a me stessa ancora non mi capisco. Una settimana fa sono stata per l’ennesima volta lasciata dal mio compagno, esasperato dalle mie richieste. Avremmo dovuto andare a vivere insieme e ammetto che lo avevo pressato come se questo fosse il massimo dei miei desideri. L’ipotesi mi sembrava avvincente: abita in centro in un appartamento piccolo ma in un edificio storico molto suggestivo. Peccato che, appena mi ha detto sì, il mio atteggiamento è completamente cambiato. Mi sono accorta che tre stanze sono poche, che condividere il bagno mi dà fastidio, che salire tre piani a piedi è uno stress, che le finestre non prendono sole e così via. Allora, sempre premuroso, ha trovato per me un appartamentino vicino, a piano terra. Ma che senso ha che io cambi abitazione se poi ognuno rimane a casa propria come prima? Tanto vale che io resti dove sono, in un paese vicino. Insomma, come avrà capito, a un certo punto lui ha detto basta. In quel momento, solo in quel momento, ho inteso le sue ragioni e mi chiedo perché, ogni volta che mi metto in coppia, o scappa lui o scappo io? / Elsa

Cara Elsa,
il tuo disagio rivela come vivere insieme sia diventato difficile, contraddittorio, in certi casi impossibile. Probabilmente da molti anni abiti da sola, concedendoti i tuoi spazi e i tuoi tempi. Uscita dalla famiglia nella prima giovinezza, non devi mai aver affrontato il compito di mediare, scendere a compromesso, rinunciare a qualche comodità a favore dell’altro. Suppongo che tu conosca a menadito la struttura complessiva della casa che senti tua: le particolarità architettoniche, la collocazione degli oggetti, i mutamenti della luce, della temperatura, dei suoni e dei colori. A un certo punto la casa diventa l’habitus che riveste il nostro sé più segreto. Messa di fronte alla prospettiva concreta, non solo fantasticata, di abbandonare il tuo guscio per entrare in quello di un altro ti sei spaventata e hai fatto in modo di mandare tutto all’aria. Quando, dopo anni di autonomia, si decide di convivere, credo sia meglio spostarsi in una nuova abitazione da scegliere e arredare insieme senza chiedere a entrambi, sebbene da un versante diverso, uno sforzo di riadattamento. Mettere su casa comporta sempre un’apertura al futuro connotata di sentimenti positivi, quali la fiducia e la speranza. Se non lo avete fatto, se non ci avete mai pensato, significa che il vostro rapporto era già, per certi versi, svogliato e stanco. Mi permetto di supporre, se me lo concedi, che anche lui si senta sollevato all’idea di tornare alla vita di sempre, ai suoi ritmi, alle sue consuetudini. 

Il problema più grave è piuttosto la serialità con cui fai e disfi, costruisci e distruggi rapporti di coppia che vorresti e non vorresti avere. Forse ti consideri sfortunata, ma credimi non è così. Da quanto scrivi, mi sembra di capire che hai sofferto da piccola la separazione burrascosa dei tuoi genitori e ora che sei grande come loro a quei tempi, intendi dimostrare a te stessa e soprattutto a tua madre, che tu invece ce la fai, che non resterai mai sola come lei. Di conseguenza ti impegni a trovare un partner dopo l’altro. Ma quando, passata la fase dell’entusiasmo cominci a frequentarlo regolarmente, ti accorgi di non essere preparata alla convivenza. Come tutti coloro che sono cresciuti con un solo genitore, non conosci le strategie di coppia che si imparano indirettamente, per prossimità, per consuetudine. Ciò che ogni volta ti spaventa è allora non tanto il futuro, quanto il passato: il ricordo dei conflitti, il trauma della separazione familiare, il dolore di tua madre, le inadempienze di tuo padre.

Se propongo questa ipotesi, non potendo addentrarmi in una vita che non conosco, è perché ho incontrato un andamento analogo in molte tra le duecento confidenze di figli di genitori separati, che ho raccolto nel libro Quando i genitori si separano: le emozioni dei figli. Se, leggendo la mia risposta, ti riconoscerai in quella situazione, ti prego di parlarne con tua madre che, più di ogni altro, potrà capirti. Appena riuscirai a separare la tua storia, i tuoi sentimenti, i tuoi problemi da quelli dei tuoi genitori e ad affidare al passato i traumi dell’infanzia, si aprirà dinnanzi a te, quasi per incanto, una pagina bianca in cui scrivere il romanzo della TUA vita.

È vero che nessuno inizia da zero in quanto nasciamo sempre all’interno di una storia vissuta e raccontata da altri. Come dice Lacan, siamo prima «parlati» che «parlanti», ma se sarai capace, almeno per un attimo, di distoglierti dall’ovvio, dal quotidiano e dal previsto, vedrai che la coazione a ripetere si interromperà perché quello che può sembrare un segno del destino è semplicemente il risultato di contraddizioni interne non superate, di conflitti non elaborati, di un passato che non passa.