Il più recente è avvenuto domenica 7 gennaio, al teatro del Maggio fiorentino, dove andava in scena la prima della Carmen di Bizet, un classico del repertorio operistico, qui però in edizione aggiornata. Il regista, Leo Muscato, aveva deciso di modificare la vicenda, ricavata da un racconto di Mérimée, scritto nel 1845, rovesciando il finale. Così, ad afferrare la pistola, doveva essere lei, Carmen, la bella e libera sigaraia, che si ribella a lui, l’ufficiale don José, corteggiatore assillante e violento, e impara a farsi giustizia. Tutto ciò, nei propositi dei responsabili dello spettacolo, in nome della parità dei sessi, causa in sé sacrosanta, e per giunta più che mai attuale. Anzi, chiacchierata. Da qui, i rischi impliciti in ogni sovraesposizione mediatica: il tema si logora, si presta a malintesi, a equivoci e persino al ridicolo. Com’è, successo, imprevedibilmente, a Firenze. Nelle mani della soprano Veronica Simeoni, l’arma s’inceppa e il colpo non parte provocando l’imbarazzo della cantante e l’ilarità del pubblico. Ma, a ben guardare, proprio quest’episodio involontario, il mancato funzionamento di un’arma affidata a una donna, finisce per assumere un significato simbolico. Sembra confermare che l’uso della violenza non è di pertinenza femminile. E, quindi, le sorti della parità non si giocano su questo terreno, attraverso una sorta di scambio: Carmen non subisce la violenza ma la esercita.
Ora, se questa pistola inceppata ha fatto largamente notizia di cronaca, rimane, tuttavia, l’aspetto marginale di un infortunio, tutt’altro che casuale. È, invece, il frutto di una tendenza culturale che va per la maggiore: proporre, in particolare, sulle scene teatrali e operistiche spettacoli in versione, riveduta e corretta, ma si fa per dire. In realtà, lasciano perplessi i risultati di interventi che non si limitano a rinnovare la scenografia ma intaccano i contenuti di vicende, personaggi, situazioni appartenenti a epoche diverse. E come tali sono testimonianze storiche preziose: un plusvalore che spetta alle pagine immortali. Non così, secondo i sostenitori del revisionismo. Commentando la Carmen pistolera, Teresa Megale, docente universitaria di storia del teatro dichiarava: «Anche i capolavori della lirica devono vivere lo spirito dei tempi». Cioè i nostri tempi. E, allora, ci s’impegna, ormai da decenni, in un’operazione di restyling, assurda e patetica.
Il termine inglese è d’obbligo, perché, proprio in quest’ambito, USA e Regno Unito sono all’avanguardia: correggendo fiabe, il lupo di Cappuccetto rosso diventa vegetariano, mettendo sotto processo romanzi, in cui le eroine sono perdenti, da Madame Bovary ad Anna Karenina. Arrivando a modificare persino il vocabolario: abolendo il prefisso «man». Ad esempio maschio craftmanship, abilità, diventa skillapplication. Si finisce, inevitabilmente, per sbandare nel fanatismo e nell’isterismo, sia pure motivato, in origine, da una buona causa. Qual è stata la correttezza politica, nata negli anni 30, negli ambienti universitari americani, con l’intento di favorire l’emancipazione di categorie svantaggiate già nella loro definizione. Quella di «negro», innanzi tutto. Da qui è partita anche la lunga marcia della parità dei sessi. Costellata di conquiste sempre, però, da perfezionare. Ecco che, in questi giorni, le giornaliste della prestigiosa BBC stanno conducendo una battaglia che si credeva conclusa: obiettivo l’uguaglianza degli stipendi. Certo, la parità non è soltanto una questione salariale. Si allarga alla richiesta di rispetto, di protezione da offese e prevaricazioni. Ma evito di proposito la parola molestie, il cui uso-abuso rischia di avere effetti deleteri. Anziché servire una giusta causa, c’è, infatti, chi se ne serve per riaffacciarsi alla ribalta.
Indicativa, in proposito, la ricomparsa della conduttrice televisiva Oprah Winfrey, protagonista, nell’estate 2016, in un negozio di Zurigo, di un piccolo incidente, rivelatore: insultando una commessa che non l’aveva riconosciuta. L’Ufficio nazionale del turismo fu costretto a chiedere scusa. Adesso, Oprah si candida addirittura per la Casa Bianca. In nome della parità. Che ha bisogno di ben altri sostenitori, e fortunatamente li trova.