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La pace delle donne

/ 30.05.2022
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
dopo la morte di mio marito e il trasferimento in Canada per lavoro del nostro unico figlio vivo da sola. Il meglio della nostra vita è alle spalle ma non per questo mi sento isolata. Il Ticino offre mille occasioni di spettacoli, arte, letteratura, sport e, finché sto bene, scelgo quello che mi interessa e lo seguo con piacere e profitto. Dopo la sospensione provocata dalla pandemia da Covid 19, mi sembra di ringiovanire. Con questo spirito non mi sono fatta mancare l’evento organizzato dall’Associazione NascereBene Ticino per festeggiare il suo decimo anniversario. L’occasione era data dalla premiazione delle miglior storie di parto, un’esperienza fondamentale della nostra vita, considerata invece un tabù. L’incontro è riuscito benissimo per l’organizzazione e per la qualità degli interventi. Visto il momento storico che stiamo attraversando, parlar di nascita vuol dire contrastare la Guerra. Sono d’accordo e vorrei, se possibile, approfondire questo tema. Grazie.
Mariangela

Cara Mariangela,
colgo con piacere il suo invito a riprendere l’argomento anche se una delle fondatrici dell’associazione NascereBene, Delta Geiler Caroli, ha già pubblicato un efficace appello dal titolo Ucraina: la pace delle donne sul quotidiano «La Regione».
Approvo il ragionamento di Delta ma con alcune specificazioni. Attribuisco alle donne il diritto specifico di parlar di Pace in quanto non hanno mai dichiarato Guerra. Ma non solo, contrariamente agli uomini che hanno da sempre provocato stragi con azioni militari, noi non portiamo la morte ma la vita. Questo onore non spetta solo alle madri di fatto, quelle che hanno effettivamente messo al mondo dei figli, ma a tutte le donne in quanto potenzialmente materne, vale a dire capaci di pensare e vivere maternamente. Se ci definiamo soggetti creativi, portatori di progetti vitali, cadono le contrapposizioni geografiche, culturali, politiche e ideologiche che alimentano i conflitti ed emerge un soggetto universale: l’umanità.

Ecco cosa scrive in proposito la femminista americana Adrienne Rich: «Tutta la vita umana sul nostro pianeta nasce da donna. L’unica esperienza unificatrice, incontrovertibile, condivisa da tutti, uomini e donne, è il periodo trascorso a formarci nel grembo di una donna… Per tutta la vita e persino nella morte conserviamo l’impronta di questa esperienza. Dimenticare la madre significa dimenticare se stessi» (Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, p.7). Ma è possibile dimenticare di essere nati da donna? Non credo. Nel bene e nel male è l’incipit della nostra vita, l’inizio della nostra biografia. Quando si sogna un luogo che non conosciamo ma dove ci sembra di esserci stati, quello è il grembo della madre. Uno spazio straordinariamente ospitale, disposto ad accogliere un organismo formato, per il 50%, da geni che gli sono estranei, quelli del partner. Mentre. Come sappiamo, i trapianti d’organo sono ostacolati dal rigetto immunitario, nel caso della fecondazione si attiva un’accoglienza incondizionata. Un paradigma biologico che dovrebbe orientare positivamente i rapporti sociali, come di fatto sta accadendo per donne e bambini in fuga dall’Ucraina. Come rappresentanti dell’umanità, le donne materne costituiscono una straordinaria opportunità di far risuonare, in modo trasversale, al di là delle divisioni storiche, politiche e ideologiche, parole di pace. Non c’è un dialogo diretto tra donne ucraine, costrette ad abbandonare le loro case e le e le donne russe, sperdute nel Paese più grande del mondo, eppure le une e le altre sono in pena o in lutto per i congiunti in battaglia o deceduti. È, il loro, un sentimento universale che passa attraverso i corpi e, per essere condiviso, non ha bisogno di tante spiegazioni. Un sentimento che anche gli uomini possono provare in quanto nati da donna.

Occorre però riconoscere le potenze psichiche in gioco: l’Odio che divide, l’Amore che unisce. Freud personalizza queste due forze nelle divinità di Eros e Thanatos e, di fronte al loro eterno conflitto, si limita ad augurarsi la vittoria di Eros. Credo però che questo esito vada propiziato con immagini, parole e azioni di pace. Magari con Voce di donna.