La nuova religione dell'Apericena

/ 24.07.2023
di Bruno Gambarotta

L’estate è la stagione più propizia per celebrare a ogni tramonto il culto della nuova religione: l’Apericena. Se non piove il rito si celebra all’aperto, sulle terrazze o meglio ancora su spianate nate per facilitare il passaggio pedonale e ricoperte da uno sterminato numero di tavolini e sedie, in funzione di inginocchiatoi. I fedeli li riconosci facilmente: hanno tutti davanti a sé un bicchierone con cubetti di ghiaccio colmo di un liquido per lo più di colore arancio e, in qualche raro caso, rosso. Il culto dell’Apericena ha già miracolato un’intera regione, il Veneto, che ha visto piantare vitigni di prosecco ovunque, anche sulle tombe nei cimiteri, dopo aver divelto quelli riservati a mitici vini, che avevano il torto di essere celebrati solo da una sparuta minoranza di intenditori. Il rito della celebrazione inizia solo quando, dopo il vassoio con i bicchieri colmi di liquido arancione, arriva al tavolo il mitico «tagliere». Per lo più è di legno ed è unico per tutti, come nel Medioevo. Su quella tavola c’è di tutto, in formato boccone singolo. Se il bar ha la fortuna di essere collegato con un ristorante o con una pizzeria può riciclare tutti gli avanzi, basta tagliarli a pezzettini o, nel caso di risotti o di pasta, usarli per colmare delle piccole ciotole. Tutto viene a tiro: le cornici delle pizze, le schegge di parmigiano, i frammenti generati dalle affettatrici quando danno inizio a un nuovo salume, o porchetta, o arrosto, le croste commestibili dei formaggi. Se qualche reperto ha un’aria troppo mesta, è sufficiente dargli un po’ di colore con la conserva di pomodoro. Non mancano mai le patate e nei locali più raffinati, le verdure impanate e fritte così hanno tutte lo stesso gusto, i pesciolini in agrodolce, le ciotole di olive.

Il rito vero e proprio inizia nel momento in cui il cameriere, in funzione di chierichetto, deposita il tagliere al centro del tavolo dopo che i fedeli hanno spostato verso il bordo i bicchieri. Si entra nella fase del silenzio, del raccoglimento. Gli sguardi sono puntati sul tagliere, ognuno medita su quale prelibatezza gli conviene iniziare, prima che qualcun altro gliela porti via. Da qualche tempo è entrata in uso la pratica di fotografare con il cellulare il tagliere prima di iniziare l’assalto. La fotografia sarà inviata agli amici che stanno celebrando il rito ai tavolini del bar sull’altro lato della piazza. Iniziando così un simpatico e istruttivo gioco di confronti.

C’è sempre, nel gruppo di amici, il buontempone, l’audace, il coraggioso che dà il via all’assalto. E qui notiamo un altro miracolo generato dal culto dell’Apericena. Vediamo dei giovani fedeli che trangugiano di tutto, senza un attimo di respiro. Proprio loro che nelle loro case signorili e accoglienti, prima di portarsi alla bocca il cucchiaio o la forchetta, chiedono e ottengono di conoscere tutto del cibo che stanno per inghiottire: non è sufficiente leggere la lista degli ingredienti sulla scatola del prodotto acquistato nel magazzino del cibo bio. Controllare la data di scadenza. Vogliono essere certi che le procedure della sua coltivazione e successiva preparazione non abbiano concorso al riscaldamento globale. Iniziato l’assalto, restano in breve sul tagliere pochi, tristi, solitari avanzi. Entra in gioco il fedele con fama meritata di «lavandino»: se non lo vuole nessuno lo finisco io, è un peccato lasciarlo lì. Celebrato il rito, prende il via l’ultima fase, la conversazione. Non tra i fedeli seduti attorno al tavolo: che gusto c’è, loro sono già lì. Ognuno impugna lo smartphone e inizia a chiamare gli amici che, per lo più, stanno celebrando il rito da un’altra parte. Se qualche amico è sorpreso altrove, sottraendosi alla celebrazione, è tenuto a giustificarsi: come mai? Non stai bene? La risposta viene comunicata agli altri: «Si scusa, dice che doveva studiare, lunedì ha un esame. Promette che è l’ultima volta, non succederà più». Si chiama un altro amico pensando che stia celebrando da qualche altra parte. Una domanda non manca mai: indovina chi c’è qui con me? Parte l’elencazione dei nomi dei presenti. La prima opzione: Tizio vi saluta. La seconda: Tizio vuol sapere perché non glielo abbiamo detto, sarebbe venuto volentieri. Sgomento. Una qualche giustificazione ci vuole. Digli che ancora non lo sappiamo.

Tizio con le sue domande importune rivela di essere un miscredente: uno all’antica, sorpassato, uno che sente ancora il bisogno di pianificare il suo tempo, di avere una meta da raggiungere. Non l’inviteremo mai, uno che trova da ridire su tutto.