La notte: spazio conquistato?

/ 30.10.2017
di Luciana Caglio

«La città non deve correre 24 ore di fila. Per me gli esercizi pubblici aperti giorno e notte sono un errore. Milano deve rallentare». Da Parigi, dove partecipava all’incontro con i sindaci di Los Angeles, Parigi, New York, Barcellona, metropoli impegnate nella difesa dell’ambiente, Beppe Sala ha lanciato quest’appello, inatteso, controcorrente rispetto alla milanesità, simbolo di dinamismo. Al quale il sindaco della capitale lombarda ha osato contrapporre una ricetta, che definisce «rivoluzionaria». Non si tratta, quindi, soltanto di limitare l’uso dell’auto e di abbassare il riscaldamento per migliorare la qualità dell’aria, bisogna ripensare i modi di vita per umanizzare «i tempi della città», conciliando attività e tregua.

E così si mette in discussione un obiettivo, prioritario negli ultimi decenni, per urbanisti, sociologi, politici: quello della città sempre sveglia, destinata a cittadini che vogliono allargare i loro spazi di vita e di libertà. Tanto che questa notte godibile sino all’alba veniva promossa a conquista sociale e culturale, a nuovo diritto democratico, concesso ormai a tutti. Infatti, non è più il privilegio delle metropoli, l’emblema esclusivo di Time Square nella New York che, come dice lo slogan, non dorme mai. Adesso, quest’insonnia volontaria è diventata un’opportunità che spetta anche agli abitanti di centri minori, piccole città, persino villaggi, dove fervono le iniziative per colmare un vuoto notturno, relitto d’altri tempi, di cui quasi vergognarsi. Ma con quali esiti?

In proposito, il Ticino si è rivelato, una volta ancora, luogo rappresentativo, quasi una sorta di laboratorio, da cui esce tutto e il contrario di tutto. Per smentire la fama di paese noioso, di città mortorio, di arretratezza provinciale, come denunciano i soliti scontenti citando insostenibili confronti con Parigi e Berlino, ci si è dati da fare. Cedendo alla tentazione dello strafare. Con l’intento di occupare le piazze e le notti, si moltiplicano, alla rinfusa, i cosiddetti eventi, in cui si affiancano il concerto del solista di fama mondiale, la sagra della castagna e, con insistenza, i «botellòn», bevute collettive in piazza, all’insegna di un ritrovato spirito comunitario. Tutto ciò, sia chiaro, con il consenso delle autorità che, anzi, per garantirsi popolarità, hanno sostenuto la causa della vitalità notturna illimitata. Senza prevederne gli effetti collaterali che avrebbe comportato e che, non di rado, offrono materiale alle cronache nere.

Sono episodi, come il recente accoltellamento con quattro feriti, nel centro di Lugano alle 3 e 40 di un sabato notte, che rischiano di alterare quell’immagine di sicurezza e tranquillità, apprezzato plusvalore del vivere «alla svizzera». Che, per forza di cose, ha subito i contraccolpi di fenomeni più grandi di noi, crisi economica, evoluzione dei costumi, mobilità, flussi migratori. Ma, in questo cambiamento, una parte l’ha avuta anche l’allungamento, persino esasperato, di una vita notturna, difficile da gestire. In cui, inevitabilmente, si fa capo a strutture, attività, personaggi non sempre al di sopra di ogni sospetto. In altre parole, prostituzione, spaccio di droga, abuso di alcool, che portano a risse, dove compare il coltello. Strumento insolito e sintomo di forme di violenza che ci erano estranee.

E qui si apre un capitolo, del tutto nuovo, nella storia del divertimento notturno, alle nostre latitudini. Ne sta facendo le spese la discoteca, inventata negli anni 60 e 70, come espressione di una moda musicale e generazionale di dimensioni globali. Strada facendo doveva diventare, suo malgrado, un punto di riferimento in episodi dai connotati a volte tragici. Forse a dimostrare che i luoghi troppo grandi, troppo affollati, in notti troppe lunghe, sono controproducenti. Superano le nostre capacità di resistenza e sopportazione, tanto da rimpiangere i «night» di antica memoria, preclusi ai minorenni, e tenuti a rispettare orari rigorosi, non oltre un paio d’ore, dopo mezzanotte. Tuttavia, non mancavano, anche allora, i nottambuli, ma erano una razza rara, personaggi da romanzo, non a caso rievocati da scrittori torinesi, come Arpino e Fruttero&Lucentini. Ne circolavano esemplari anche da noi, personaggi un po’ stravaganti che il vuoto delle città di notte sapevano riempirlo con la fantasia.