«Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso, che a guardarlo veniva da chiedersi: è mai possibile che vi sia sotto questo cielo gente collerica e capricciosa?» (Fëdor Dostoevskij, Notti bianche). La notte era il dissolvimento del giorno, la notte era tenera, la notte era certe notti. Poi è arrivata la pandemia e ha mescolato il giorno con la notte.
Scrive Gianluigi Ricuperati su «Rivista studio»: «La notte ci è stata sottratta, è scomparsa dall’orizzonte delle idee, della pratica, della vita: basta fare un giro alle 21.30 nelle grandi città italiane, ma non solo, per rendersene conto. Esistere è diventato un verbo concavo, rivolto all’interno: i quartieri sono ormai sussidiari illustrati di finestre e lumi accesi. Gruppi sparuti di adolescenti attraversano le zone meno battute, scivolando via dallo sguardo del tutore dell’ordine pubblico, ma anche dai mille occhi malevoli che proprio dietro a quelle finestre, nell’aura di quei lumi, fotografano e denunciano, chiamano vigili e si scandalizzano».
E se invece che sottratta ci fosse stata restituita? Nella letteratura di tutti i tempi, la notte ha sempre rappresentato una visione topica: è il momento in cui l’uomo si immerge nel mistero che lo avvicina all’Essere o in cui è più facile conoscere le zone d’ombra della psiche umana; la notte è il ricordo della paura ancestrale; la notte è la porta d’ingresso nel mondo dei sogni. Le tenebre allontanano il reale ed evocano da lontano le immagini della memoria; questa dilatazione dello spazio e del tempo operata dalla notte, che fa uscire l’uomo dal limite del presente, crea l’effetto poetico.
Da quanto tempo abbiamo perso la notte?
Traumatizzare la notte, svestire di buio fisico e metafisico le strade, inondare di luce l’oscurità sembrava una grande conquista. Era come se l’orologio si fosse arricchito di una venticinquesima ora: lunga, interminabile, espansa. In questa nuova ora, le strade si riempivano di rumori assordanti, la tv offriva i suoi appuntamenti più tonici, la vita si risvegliava e tirar mattina era diventato una sorta di obbligo sociale, una della tante trasgressioni programmate del nostro tempo.
Pier Paolo Pasolini lamentava la sparizione delle lucciole, niente in confronto alla sparizione della notte. Dobbiamo rallegrarci di questa nostra capacità di estromettere il buio? Bisognerà imparare a dormire in piedi come i cavalli? È saggio eliminare la notte, umiliarla con luci, frastuoni, giornate lavorative che non finiscono mai? Potremo ancora, col profeta Isaia, chiederci a che punto è la notte? «Guardia! Quando avrà fine la notte?». «La Guardia dice: Sta venendo il mattino. Ma la notte durerà ancora. Tornate e ridomandate. Venite ancora, insistete». La notte dura perché ogni cammino, profetico o meno, è un viaggio notturno verso una luce: è la luce ha senso solo se intorno c’è buio.
Sembrava invece che la nostra società avesse deciso di cancellare la notte: luci sfavillanti, negozi aperti 24 ore su 24, discoteche che spalancano le porte solo dopo mezzanotte, strade intasate d’auto, tamburi lontani in un’oscurità che non c’è più. Si dicono «amanti della notte», e sono la lobby del divertimento notturno, i sodomizzatori del silenzio, i trafficanti di umanità. Si dice «notte brava», per dire che la notte è stata particolarmente cattiva. Si dice «notturna» ed è stata solo un’esibizione di kilowatt. Dove sono finite le tenebre che ancora negli anni Sessanta straziavano il cuore del cantante Adamo? «Se il giorno posso non pensarti, la notte maledico te, e quando infine spunta l’alba c’è solo vuoto intorno a me. La notte tu mi appari immensa, invano tento di afferrarti, ma ti diverti a tormentarmi, la notte tu mi fai impazzir, la notte… mi fai impazzir». La notte è finita nell’antro di un rigattiere, ingiallito ricordo scolastico, usurata materia poetica, anzi patetica. «Let’s spend the night together», cantavano i Rolling Stones. E avevano capito tutto, con quel loro martellante invito: ci divertiremo un sacco solo andando in giro a fare i matti, in giro, in giro.
Esiodo, per primo, aveva individuato la duplice natura della notte: offre in dono pace e riposo ma genera anche fenomeni terrificanti. Nella sua Teogonia, la Notte è figlia di Gea e del Caos. Unitasi incestuosamente al fratello Erebo genera, in un prodigioso gioco metamorfico: Etere, Thanatos, il Sonno (Hypnos), il Sarcasmo (Momo), le Moire, i Sogni, Nemesi e le Esperidi. In molte culture, la notte è vissuta come dispensatrice del sonno e liberatrice degli affanni: è una grande pausa necessaria al divenire, nel suo grembo si germina il giorno, emerge la luce della vita. La notte è il deposito di tutte le virtualità dell’esistenza.
La pandemia ha causato danni irreparabili, ma forse, chissà, ci ha restituito il senso della notte.