La nostalgia degli anni nei palazzi

/ 02.09.2019
di Alessandro Zanoli

Una storia che racconta il lato concretamente sociale dei social. Due amici, Luigi e Luisa, si incontrano per caso in un centro commerciale. Non si vedono da anni. Sono cresciuti in quartiere di palazzi, quelli che all’inizio degli anni 60 del 900 erano venuti su come funghi ai margini dei centri urbani ticinesi. Erano veri «quartieri»: vivevano una vita propria, anche con una certa qual promiscuità. Tutti si conoscevano. Si lasciavano i bambini in cortile a giocare: le mamme si sporgevano dalla finestra per chiamare quando era ora di pranzo o di fare i compiti. Il resto, per i ragazzi, erano agguerritissime partite di calcio tra i garage, sull’asfalto. Le ragazze si impegnavano in lunghe sessioni di gioco all’elastico, o preparavano minestrine di erba e terra nelle pentoline per le bambole. E le mamme ogni tanto scendevano anche loro, a chiacchierare e tener d’occhio i più piccoli.

Era un paese nel paese, anche per questioni di omogeneità culturale: nei quartieri dei palazzi vivevano inevitabilmente molti immigrati. Nell’era del boom economico il Ticino si stava modernizzando, cresceva senza sosta. C’era bisogno di operai, magazzinieri, meccanici, commessi, infermieri. Per ogni nuovo impiego che si creava altrettante coppie si insediavano nei «casoni», ognuna con un paio di figli, almeno.I due amici, chiacchierando e rievocando quegli anni lontani, tentano un paio di conti. In una decina di stabili con almeno cinque o sei piani, se non di più, ci saranno state circa centocinquanta famiglie. Metti una media di due figli ciascuna, fanno un esercito di trecento bambini. Tutti in cortile a giocare, primavera, estate, inverno. «Chissà che fine hanno fatto» si dicono Luisa e Luigi. E qui entra in gioco il social. In poco tempo, smanettando su Facebook e su Whatsapp, si inizia a tessere una rete di contatti, che a sua volta produce una fitta serie di messaggi. L’inevitabile gruppo «I ragazzi di Via Bernasconi» (un nome che fa un po’ serie televisiva) raccoglie numerose adesioni. Eccoli, gli amici dei palazzi. Sono cresciuti, hanno messo su famiglia anche loro, qualcuno è già nonno. Ma soprattutto mostrano una grande curiosità per questo esperimento di ritorno al passato. «Quando ci vediamo?». E qui si svela l’aspetto davvero sociale del social. Passare dal messaggino al faccia a faccia richiede una certa dose di coraggio, in fondo. Vuol dire mostrare agli altri come si sono realizzate le aspettative, come si è confermato nella vita reale quel ruolo virtuale che si interpretava allora nella piccola comunità del quartiere.

Dei circa ottanta iscritti al gruppo social, soltanto undici riusciranno a incontrarsi davvero, in un primo appuntamento «d’assaggio». Ma l’esperienza è proprio piacevole, in un’atmosfera migliore di quelle di certe riunioni famigliari vere. Partecipando alla rimpatriata, chi scrive si è trovato a chiedersi perché avesse accettato l’invito di Luisa e Luigi, e cosa stesse cercando tra le simpatiche persone che venivano dal suo passato. Al di là dell’effetto nostalgia, che comunque ha un suo fascino, l’impressione prevalente era il piacere di trovare una conferma, un riscontro concreto, ai propri ricordi, alle proprie esperienze di formazione.

Sì, abbiamo davvero giocato a calcio in torride giornate estive consumandoci i ginocchi sull’asfalto; sì, abbiamo davvero tirato pallonate insensate contro la vetrina del negozio a pianoterra. Sì, negli appartamenti dove vivevamo le mamme ricevevano gli scatoloni dalle fabbriche e costruivano penne, montavano bigodini, cucivano vestiti, lavorando a domicilio. Tutto questo è esistito davvero: abbiamo vissuto una condivisione di destini che era probabilmente vera solidarietà umana. Ci saranno stati anche problemi, certo. Ma è questo sentimento di unità e vicinanza che sopravvive, a distanza di cinquant’anni.