La mostra per tutti

/ 09.03.2020
di Luciana Caglio

Mostra che vai, pubblico che trovi, si potrebbe dire parafrasando un vecchio proverbio. E vale anche per altre manifestazioni, dove va in scena la cultura: la prima di un film premiato, una novità teatrale, il concerto di musica classica, diretto da un maestro famoso, lo showcase della popstar di successo, o la presentazione di un libro d’autore. E via enumerando incontri caratterizzati, ognuno, dai propri frequentatori. Nell’era degli eventi, queste particolari preferenze dovevano creare tipologie umane diversificate e riconoscibili. Una sorta di identikit, intellettuale e fisico che contrassegna comportamenti, vestiario, linguaggio e, non da ultimo, età. Ovviamente, i giovani, in jeans e felpa, ascoltano i rapper e gli anziani, in abito scuro, affollano le serate dedicate a Beethoven, nel 250.mo della nascita. Ma forse non è più così.

Recentemente, mi sono trovata in una situazione che smentiva proprio questo giudizio, o magari pregiudizio, nei confronti di un pubblico a compartimenti stagni: quello, numeroso, che risponde alle sollecitazioni della cultura popolare, o bassa, e quello, selezionato, che invece bazzica le manifestazioni di alta qualità. È successo, due settimane fa, a Basilea, per la precisione a Riehen, dove la Fondazione Beyeler, nell’impareggiabile sede firmata Renzo Piano, ospita un’ampia e documentata rassegna delle opere di Edward Hopper. S’intitola «Un nuovo sguardo sul paesaggio», e caso fortunato, coincide con lo stesso sguardo dell’architetto, sensibile al paesaggio circostante, tanto da renderlo godibile anche all’interno del museo.

Fatto sta che non potevano trovare un ambiente più confacente all’attenzione e alla riflessione gli oli, gli acquarelli, i disegni di quest’americano insolito, che ha scelto di raccontare gli USA da visionario, tuttavia realista. All’immagine standard degli States, scintillante, rumorosa, persino arrogante, si contrappone così quella che lui ha percepito: silenziosa, pervasa di solitudine, sofferenza e mistero. Una denuncia, anche sociale, se si vuole, ma proposta senz’acredine polemica. In termini poetici e magici, che ispirarono registi come Hitchcock, Wenders e il Kevin Kostner di Ballando coi lupi. È sempre, in forme diverse, questione di immagini. Infine, tutto dipende dal valore aggiunto del realizzatore: la capacità di trasmettere non solo sensazioni fuggevoli ma stimoli permanenti per ripensare consapevolmente la propria quotidianità, insidiata, e non soltanto oltre Oceano, da contatti umani sempre più rarefatti, da incertezze che intaccano i baluardi del potere, persino quello dell’arte.

Da qui la popolarità di un artista fuori degli schemi sanciti dalla critica, non inquadrato in correnti precise, che si affida soltanto al linguaggio della pittura. Aveva ragione Francis Bacon, quando affermava: «La pittura è il linguaggio della stessa pittura. Quando si cerca di parlarne, diventa una traduzione inferiore». La definizione racchiude il segreto dell’artista che fa centro e vi rimane, conquistando il pubblico.

Com’è avvento alla Beyeler, alle prese con una ressa, non ancora sfoltita dall’allarme virus: era il 24 febbraio e non aveva varcato il Gottardo. Si trattava di una folla veramente rappresentativa della popolazione attuale che risiede nella Confederazione, e in particolare durante una vacanza scolastica. Quindi famiglie al completo, con bambini e adolescenti, più numerosi ovviamente gli svizzeri tedeschi, ma una buona presenza di romandi, e anche di stranieri d’ogni provenienza e colore. Particolare rilevante, la folta presenza maschile, spesso minoritaria nelle occasioni culturali. Le donne sono, statisticamente, le più dirette responsabili della vita culturale, sia come frequentatrici sia come organizzatrici di manifestazioni.

Si deve parlare anche degli assenti. Forse soltanto meno in vista rispetto ad altre mostre, gli addetti ai lavori: cioè gli accompagnatori di gruppi che impartiscono lezioni, i critici che osservano con il giusto distacco opere di cui detengono la chiave di lettura, e latitante la categoria degli intenditori, dotati del fiuto per la scoperta del nuovo assoluto, che disorienta ma, forse diventerà epocale. Per concludere: un’esposizione per tutti. A qualcuno, può sembrare un indizio inquietante.