La mortificazione digitale

/ 20.01.2020
di Natascha Fioretti

Secondo lo studio McKinsey nel 2030 circa il 25% di tutte le attività professionali in Svizzera saranno automatizzate e circa 1,2 milioni posti di lavoro cancellati. Al contempo, grazie alle nuove tecnologie nasceranno 800’000 nuovi posti di cui la metà in ambito tecnologico, in particolare nel campo del Software e dell’Hardware e in aziende che propongono soluzioni digitali. Cosa succederà a chi perde il lavoro? Lo salveranno la riqualificazione professionale e la formazione continua. Lo stesso scenario vale per tutta l’Europa in cui oggi molti paesi corrono al riparo alzando i toni nazionalistici e lanciando grandi proclami contro l’immigrazione e la manodopera a basso costo che porta via il lavoro ai propri cittadini. La vera minaccia però non sono gli immigrati è la digitalizzazione: o perché senza occhiali o per convenienza, i politici si rifiutano di mettere a fuoco l’elefante nella stanza.

Questo è quanto ci racconta Matthias Zehnder nel suo saggio uscito per NZZ Libro Die digitale Kränkung. Über die Ersetzbarkeit des Menschen (La mortificazione digitale. Sulla sostituibilità dell’uomo). Così come in tedesco, anche in italiano il titolo ci porta dritti a Sigmund Freud. L’autore, classe 1967, studi in germanistica e filosofia all’Università di Basilea, un dottorato in scienze dei media, per spiegare quanto sta accadendo oggi si rifà al padre della psicanalisi e alla tesi secondo cui le grandi rivoluzioni sono anche grandi mortificazioni dell’umanità. In altre parole, dopo quella copernicana, biologica e psicologica ora stiamo vivendo la grande mortificazione digitale. Per dirla con le parole del neurologo e psicoterapeuta Reinhard Haller le mortificazioni sono il risultato di aspettative positive disattese che feriscono il narcisismo e l’amore di sé dell’uomo mettendone in discussione l’atteggiamento, l’immagine, le speranze, i desideri e provocando, infine, grandi delusioni. 

Tutto ha avuto inizio quel famoso pomeriggio dell’undici maggio del 1997 in cui il campione di scacchi Garry Kasparov, al 35esimo piano di un grattacielo di Manhattan, viene sonoramente sconfitto da Deep Blue, un computer. La delusione e la rabbia di Kasparov di allora simboleggia l’offesa, la mortificazione digitale dell’umanità che da allora si è ripetuta altre milioni di volte. Quell’ingombrante calcolatore ed elaboratore dati che era Deep Blue si è trasformato in una macchina dotata di intelligenza artificiale in grado di percepire la realtà circostante e di comunicare, interagire con essa. E qui c’è l’aspetto più inquietante che Zehnder mette in luce nell’analizzare i vari livelli di sviluppo e cambiamento che da 250 anni a questa parte la rivoluzione tecnologica ha portato con sé. Mentre le precedenti rivoluzioni hanno sostituito o modificato le modalità di lavoro dell’uomo, la quarta rivoluzione innalza lo sviluppo ad un livello che lui definisce super umano, per cui alcuni processi e relative prestazioni vanno oltre quelle che sono le capacità e le prospettive di noi comuni mortali. A tal punto che i computer assumono quella che Zehnder chiama una prospettiva divina e cita Giobbe capitolo 34, versetto 12: «Poiché egli tiene gli occhi sulle vie dell’uomo, e vede tutti i suoi passi». 

Inquietante, non è vero? Zehnder nella sua analisi, profonda e attuale, va ancora oltre e alla fine ci dà anche una speranza, della serie: non tutto è perduto. Per sapere di che cosa si tratta seguite la prossima puntata in cui, vi anticipo, si parlerà anche di Stefan Zweig e di Goethe.