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La morte, ne parlo con mio figlio

/ 08.10.2018
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Silvia, 
nostro figlio Luciano, di 6 anni, è un bambino particolarmente sensibile e qualche giorno fa ha chiesto: «nonna tu sei vecchia, quando morirai?». Per fortuna mia madre gli ha risposto senza scomporsi: «Certo un giorno morirò, come tutti. Ma non adesso». Luciano ci è sembrato soddisfatto di quella risposta. Purtroppo in questi giorni il padre di mia moglie, il nonno materno, sta affrontando la fase terminale di un male inesorabile. Luciano gli è particolarmente affezionato e temiamo che la sua morte possa costituire un trauma per il bambino. Come prepararlo all’evento? Dobbiamo parlargliene sin da ora o è meglio attendere che si verifichi? / Genitori in ansia

Cari genitori, 
la vostra preoccupazione vi fa onore perché contrasta con la tentazione di credere che i bambini non capiscano, non s’interessino, non vogliano sapere niente delle questioni decisive. Ma, come non mi stanco di ripetere, i bambini respirano l’atmosfera della loro famiglia, vedono e ascoltano anche quando sembrano distratti. Sicuramente Luciano avrà captato con le sensibili antenne dell’età la vostra ansia, i vostri timori. Ed è giusto tenerlo al corrente, senza troppi particolari, della malattia e del ricovero ospedaliero del nonno e, se la situazione lo permette, che vada qualche volta a trovarlo. Vi è altrimenti il rischio che la fantasia sia più spaventosa della realtà. Ma prepararlo alla scomparsa che sta per accadere non significa tenere una conferenza sulla morte e sul lutto, meglio rispondere alle sue domande quando le esprimerà.

I nostri bambini incontrano precocemente la morte nelle favole, nei film e nei cartoni animati, dove si presenta spesso come reversibile. Però di solito, a sei anni, sanno che la morte è per sempre. Tuttavia tra sapere e comprendere c’è molta differenza e può succedere che chiedano: «ma quando viene il nonno?». Anche noi adulti possiamo ingannarci e cedere per un attimo all’illusione di un ritorno impossibile. Ma è solo un attimo perché subito la ragione impone le sue ragioni.

Quando il decesso è vicino possiamo preparare i bambini dicendo: «il nonno è peggiorato e i medici non possono più guarirlo, tra poco morirà» e infine: «è successo, il nonno è morto». In quei frangenti possiamo aiutare il piccolo a superare lo shock rievocando le varie fasi della malattia. 

Attenti però a non dire «è scomparso» perché chi va può sempre tornare. Mentre si pronunciano queste difficili parole, meglio abbracciare il bambino, carezzarlo dolcemente e disporsi ad ascoltarlo.   

L’importante è evitare di bloccare le nostre emozioni. Se non ci concediamo di soffrire sarà il corpo a esprimere, ammalandosi, i pensieri che la mente ha scacciato dal suo perimetro.

È perciò opportuno non nascondere il dolore, concedersi di piangere, di essere tristi. Date parole al ricordo e al rimpianto - perché solo così i bambini si sentono autorizzati a esprimere le loro emozioni e a porre le loro domande. La reazione al lutto è sempre personale, segue modi e tempi diversi, per cui potrà capitare che un nipote si disperi e l’altro sembri insensibile e distratto.

Ma non colpevolizzatelo, i meccanismi con cui la psiche si difende dalla disperazione derivano dall’inconscio, non sono intenzionali e, se li condanniamo rischiamo solo di indurre una persona a fingere e mentire. Favorite piuttosto la partecipazione dei bambini ai riti del commiato perché li convinceranno della realtà dell’evento e li aiuteranno a compiere gesti positivi come posare un fiore sulla tomba, accendere un lumicino dinanzi alla foto, programmare una visita al cimitero.

Ricordate che la morte dei nonni fa parte della vita e va inscritta nella storia di famiglia per cui, a tempo debito, sfogliate insieme l’Album delle foto raccontando le vicende, belle e brutte, evocate da quelle immagini. Il ciclo delle generazioni infrange l’angoscia del «mai più» e offre una prospettiva di fiducia e di speranza. Accade infine che il bambino incontri persone che negano l’esistenza dell’«aldilà». Ma, anche per chi crede nell’immortalità, può essere un’occasione per ammettere che non tutti hanno le stesse idee e spiegare che, in ogni caso, la persona cara non è perduta per sempre in quanto continuerà a vivere nei nostri cuori, nei nostri pensieri, nei nostri ricordi dove sarà una presenza indelebile. 

Tra le poesie della mia infanzia ne ritrovo una che evoca proprio questa dimensione di perennità: «Ci sarai sempre nonnina ti pare, non penserai di potertene andare?». «Non me ne vado, stanne sicura. Resto col bene che eterno dura».