Ogni epoca ha i suoi idoli, le sue ossessioni, ma c’è un idolo che travalica i secoli e regna incontrastato attraverso i millenni: la moda.
Ovviamente, non parlo solo dell’abbigliamento, ma di tutte le forme di decorazione e di ornamento che le diverse culture modificano periodicamente di tempo in tempo. Come nell’architettura mutano gli stili – dal romanico al gotico, dal rinascimentale al barocco e così via, così è anche nell’abbigliamento, nelle acconciature, nella cosmesi. Ciò che è nuovo desta meraviglia, richiama l’attenzione; ma il nuovo ripetuto a lungo diventa obsoleto, e pertanto occorre passare a un cambiamento.
Sarebbe dunque senz’altro sbagliato pensare che sia solo il nostro tempo a glorificare la moda: basta considerare quanto scriveva Michel de Montaigne in uno dei suoi Essais pubblicati quasi cinque secoli fa. Il filosofo citava il caso di una donna di Parigi «che si fece scorticare solo per ottenere così il colorito più fresco di una nuova pelle»; cosa certo non nuova, visto che già duemila anni fa il poeta Tibullo, nei suoi Carmina, parlava di donne che, con l’avanzare dell’età, si davano da fare per strappare dalla radice i capelli bianchi e per sradicare dalla faccia la pelle che tracciava il solco delle rughe. Ma Montaigne si stupiva, soprattutto, del fatto che ci fossero donne disposte a sottoporsi anche a forti sofferenze per abbellire l’aspetto esteriore: «Ne ho viste inghiottir sabbia, cenere, e travagliarsi di proposito fino a rovinarsi lo stomaco, per acquistare un colore pallido. Per ottenere un corpo snello alla spagnola, quali torture non soffrono, sostenute e incinghiate, piene di solchi nei fianchi, fino a intaccare la carne viva? Talvolta, anzi, fino a morirne».
Ecco un interessante segno di mutamento della moda: al tempo di Montaigne la bellezza femminile richiedeva il pallore del volto; oggi, mi pare, è più apprezzata l’abbronzatura, che attesta un fisico sportivo, la pratica del walking, lunghe permanenze sulla spiaggia, in piscina o in montagna. La sofferenza necessaria per l’abbellimento di sé si è poi senz’altro ridotta, ma non necessariamente annullata: diete e digiuni richiedono rinunce poco gradevoli; tatuaggi e piercing comportano pure qualche lieve dolore; ma la bella apparenza va pur sempre conservata. Se mai, ciò che differenzia la moda attuale dei regimi dietetici e delle pratiche salutistiche da quella del passato è che l’obiettivo non è solo la bellezza, ma anche – e forse soprattutto – la salute. Il corpo è diventato l’oggetto primario delle cure e delle ossessioni. Non è sempre stato così: in passato, le pratiche dei digiuni e tante sofferenze fisiche venivano accettate per la salvezza dell’anima, che era la cosa più importante. Quante frustate si elargivano i santi Padri del deserto per resistere alle tentazioni! Il digiuno fino allo sfinimento, le penitenze e le flagellazioni, erano un tempo pratiche molto diffuse tra i credenti per garantire la salute dell’anima. Ma i tempi sono cambiati: oggi, mi pare, è tenuta in maggior conto la salute del corpo che quella dell’anima. È una nuova moda, ma pur sempre una moda.
L’antropologo Dan Sperber paragonava le tradizioni, che si tramandano da una generazione all’altra, alle malattie endemiche; le mode invece, che si diffondono rapidamente in una o in molte culture, sono paragonabili – diceva Sperber – alle epidemie. Il paragone mi sembra calzante oggi più che mai: le malattie endemiche oggi diminuiscono con i progressi della medicina, e le tradizioni si perdono per l’estinzione della memoria e i cambiamenti sociali; al contrario, la velocità con cui si trasmettono le nuove mode, dovuta anche alla formidabile spinta consumistica, evoca bene l’idea di epidemie successivamente dilaganti.
Il paragone con le pestilenze epidemiche mi riporta poi alla mente il Dialogo della Moda e della Morte di Giacomo Leopardi – probabilmente il testo più sferzante che sia mai stato scritto sull’argomento. Come molti ricorderanno, in quel dialogo sarcastico e tetro fra le due figure dominanti dell’esistenza umana, la Moda si dichiara sorella della Morte, perché entrambe, anche se per vie diverse, hanno come scopo di rinnovare continuamente il mondo: « tu [Morte] fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali ». Da brave sorelle, moda e morte impongono entrambe la legge del tempo: un continuo perire e un perenne ricominciare.